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15 agosto 2024

Treviso

"Giovani, famiglia e coesione sociale al centro dell'agenda politica"

Il vescovo Gardin incontra politici e amministratori locali per gli auguri

| Redazione |

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TREVISO - “Voglio esprimere un grazie particolare per il servizio da voi svolto, a livelli diversi, nella cura della cosa pubblica, con dedizione e spesso con sacrificio e impiego considerevole di energie personali, di tempo, magari sottratto a relazioni importanti, come quelle familiari, o anche a giustamente desiderabili spazi personali”. Queste le parole di apertura del vescovo di Treviso, monsignor Gianfranco Gardin, che ieri sera ha incontrato politici e amministratori locali per il tradizionale scambio di auguri.

“Questo grazie nasce anche dalla considerazione delle situazioni nuove, spesso difficili, complesse, esigenti che il vostro compito vi porta ad affrontare. Diceva papa Francesco lo scorso anno intervenendo al Convegno ecclesiale di Firenze: «Si può dire che oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca. Le situazioni che viviamo oggi pongono sfide nuove che per noi a volte sono persino difficili da comprendere». “Vorrei allora, senza alcuna pretesa di originalità, riflettere con voi su alcuni aspetti di questa realtà mutevole e complessa, soprattutto rilevando le sue criticità, sia pur senza indulgere ad uno sterile pessimismo, e sulle domande e gli impegni che essa suscita e richiede”.

“Il mutamento di epoca di cui ha parlato papa Francesco si svolge in modo assai rapido, complesso e problematico, e coinvolge l’intero contesto culturale, sociale, religioso del vivere, anche nelle nostre città e nei nostri paesi. Tra l’altro, questo incalzare di situazioni sempre nuove determina, nella vita sia personale che delle comunità, una frenesia affannosa nelle relazioni interpersonali; domanda l’immediatezza di azioni e di risposte; rende spesso infelicemente conciso perfino il linguaggio. E ci priva dei tempi preziosi della riflessione; per cui non siamo in grado di coltivare riferimenti ideali, e siamo sempre più costretti a guardare al presente, al tutto e subito, senza poter vivere una prospettiva di tempi medi o lunghi. Questo incide anche sulla ricerca del bene comune che, invece, richiede tempi di ponderazione e di confronto. Non ho bisogno, certo, di descrivere o anche solo richiamare i “luoghi” in cui questi rapidi cambiamenti si manifestano con particolare evidenza. Ricordo solo le modalità di attuare e vivere la famiglia, perfino i modi di intendere l’identità maschile e femminile; poi la realtà giovanile, in difficoltà a progettare un proprio futuro; il mutare della composizione demografica e sociale delle nostre comunità, con singoli e famiglie provenienti da altre nazioni, culture, religioni; e ancora la crescente pluralità di proposte e di percorsi di vita personali e collettivi. E come dimenticare il persistere della crisi economico-occupazionale; e la preoccupazione per un welfare-state che sembra profilarsi non più sostenibile? La precaria condizione di molti giovani produce in vari Paesi il rifiuto della politica attuale, che non è stata sufficientemente previdente e lungimirante, che non ha saputo garantire continuità nell’avanzamento delle generazioni. Si affermano così forme di individualismo e di soggettivismo estesi e pervasivi, che manifestano insicurezza, paure, rifiuto pregiudiziale dell’altro, sfiducia nelle istituzioni”.

Il vescovo nel suo discorso si è poi soffermato su tre grandi questioni di oggi: il lavoro, i giovani e le famiglie.

Economia e il lavoro
-“Questi due fattori sono strettamente legati, e risultano rispondere oggi a criteri modificati rispetto a un passato recente. Ci viene detto che questo avviene a causa dei processi economici e finanziari, innescati dalla globalizzazione, della differente organizzazione della produzione, della gestione disinvolta della finanza (penso alle tormentate crisi delle banche venete. Tutto questo risulta peraltro arduo da capire al cosiddetto “uomo della strada”.

Giovani - “Una generazione che studi e ricerche tendono a definire stanca, sfibrata, priva di prospettive, incapace di trovare un lavoro stabile e gratificante, che consenta di progettare quella che fino a poco tempo fa chiamavamo una vita personale con famiglia, lavoro e carriera e, quindi, un proprio futuro. Il lavoro non c’è o è a precarietà prolungata. I numeri ci descrivono una situazione allarmante, perché è la prima volta che una generazione vive con il sostegno della generazione che precede, la quale è destinata a scomparire. I nostri giovani, già ora, ma in particolare quando saranno adulti-anziani, disporranno di minori risorse, beni, servizi rispetto agli attuali adulti-anziani di oggi. La società invecchia e sempre meno giovani sono in grado di sostenere una classe progressivamente più ampia di anziani. Sono situazioni che possono acuire sensazioni di fallimento, di depressione personale, di conflittualità familiare.

Famiglie - “Mutamenti che nascono anche dai cambiamenti culturali avvenuti nelle relazioni uomo-donna. Tali relazioni si sono forse fatte più problematiche per varie ragioni. Sono certo impostate su di una maggior libertà della persona rispetto al passato (in particolare per la donna), tuttavia non sempre ben intesa quando si è di fronte ad un “patto coniugale”. Si creano nuove forme di convivenza, con rotture e superamento del modello tradizionale, con il passaggio dalla stabilità a situazioni tipiche della “cultura del provvisorio” e con la formazione di nuove composizioni familiari. Verso quale futuro ci stiamo indirizzando? Forse verso un’attribuzione di fiducia solo alle persone e non più all’istituzione? Pensiamo poi a quell’esperienza fondamentale per ogni uomo e donna che è il generare; che significa anche prendersi cura, educare, dare vita e speranza. Spesso questa esperienza sembra scontrarsi con alcune precarietà. Penso a due precarietà diverse: quella imposta dalla mentalità relativistica, e quella dovuta ai tempi del lavoro. Educare all’interno di situazioni sempre più plurali, tutte segnate da una opinabilità precaria, è tutt’altro che facile; ed educare domanda gli spazi della condivisione, dello stare insieme gratuito, del dialogo. Tutto ciò aumenta i timori per le coppie giovani di mettere al mondo dei figli.

Una terza questione è data dal fatto che ci troviamo in una società ormai segnata dal “meticciato”, cioè sempre più mescolata sia a famiglie di altri paesi, con culture, tradizioni, religioni, punti di riferimento propri, sia ad immigrati singoli, in convivenza con noi (nel condominio, a scuola, nel lavoro), spesso rifiutati e percepiti come impostici. Arrivano qui dall’Africa e dall’Asia giovani in età di studio, privi di professionalità specifiche. Dove e come li impieghiamo? Possiamo semplicemente rifiutare l’incontro con culture altre? Non possiamo ignorare che ogni cultura e società si è sviluppata ed è cresciuta nel corso della storia grazie a conoscenze-confronti-scambi-integrazioni con popolazioni di altre culture. Non è che noi stiamo scontando, oltre che secoli di sfruttamento e di indifferenza, l’incapacità culturale di leggere la storia del mondo e i fenomeni in atto? Queste, accennate, sono tre realtà che ci interrogano in maniera acuta: non è facile, né per voi che operate ogni giorno a contatto diretto con realtà umane e sociali complesse e fragili, né per le comunità cristiane, trovare risposte che non siano né stroncanti né accomodanti. Esse richiedono attesa, pazienza, dialogo, confronto pacato, discernimento, scelte pensate con larghezza di vedute. I cristiani poi sentono che qui è chiamata in causa una dimensione decisiva del loro farsi discepoli del Vangelo dentro la storia".

"Ora mi faccio particolarmente presuntuoso, tentando di spingermi in un terreno che non mi appartiene, se non come ad un cittadino tra i tanti. E mi chiedo quale potrebbe essere il ruolo delle politiche. Pare a me che un ruolo di grande responsabilità sia richiesto alle politiche del Parlamento, della Regione, dei Comuni. Mi chiedo se questi organismi non dovrebbero generare scelte capaci di invertire le tendenze negative cui ho accennato, aprendo concretamente alla speranza. Anzitutto per i giovani. Ci viene da pensare che, sul piano del lavoro, delle risorse finanziarie, del trattamento previdenziale, del territorio disponibile, dell’atmosfera pulita, e altro ancora, i figli hanno e avranno meno dei padri. Sono da investire risorse progettuali, umane, finanziarie per la formazione, l’istruzione, il lavoro. Chi ha investito in queste direzioni ha registrato degli importanti scatti in avanti nella creatività e nella produzione, superando di molto le società statiche e conservatrici, perché si è investito su ciò che contiene forza creativa, carica di inventiva, di passione e voglia di cambiamento. Le risorse pubbliche vengano impiegate non per provvedimenti magari nostalgici, spesso inutili, quando non grotteschi, come può accadere, ma per i veri interessi di oggi e di domani dei nostri giovani. Penso che abbia senso chiedere a chi fa le leggi nazionali e regionali di avere una visione elevata e non parziale, e sempre lungimirante dei veri bisogni delle persone, ricordando che le risorse finanziarie appartengono a tutti e vanno spese per l’effettivo interesse generale, a partire da chi è rimasto indietro o si trova scartato. In secondo luogo per le famiglie. La famiglia merita di essere collocata al centro dei programmi politici e amministrativi, perché, pur indebolita da fenomeni nuovi e resa fragile dalla crisi demografica, si conferma tuttora, anche dai giovani, la cellula sociale alla quale affidarsi nei tempi delle crisi economiche e di quelle morali. Ce lo dicono i risultati di indagini recenti. La famiglia merita di essere al primo punto nell’agenda politica, senza cadere in questioni ideologiche, ma guardando ai concreti problemi di coniugi, genitori e figli, applicando trattamenti normativi e fiscali differenziati che tengano conto dei diversi carichi familiari: trattamenti rapportati agli effettivi bisogni di ciascuna persona e di ciascun nucleo familiare, invogliando in tal modo le giovani coppie a nutrire speranza concreta nel futuro. In terzo luogo favorire il cammino verso una nuova coesione sociale. Se è vero, come i dati sembrano indicare, che abbiamo e avremo bisogno di molte delle persone giunte da altri paesi, non ci conviene formarle, inserirle, integrarle? Come? Ci è chiesto l’impegno a costruire un tessuto connettivo nelle comunità locali, per una nuova coesione sociale e un nuovo senso di appartenenza e di comunità. Accoglienza sempre e comunque? Non mi soffermo su questa grande questione, che chiede riflessione pacata e scevra di ideologie. Certo, non possiamo voltare la faccia dall’altra parte di fronte ai disperati che rischiano la vita per fuggire da condizioni di guerra e di violenza o perché aspirano ad un legittimo miglioramento delle loro tristissime condizioni di vita. Essi tuttavia vanno aiutati entro una programmazione chiara e stabile, fatta mediante accordi con i loro Paesi origine (quanto è possibile?), con regole precise, con diritti fondamentali che vanno a loro garantiti e con doveri civici che in ogni caso essi devono rispettare. È evidente poi che la solidarietà dev’essere praticata anche a livello europeo, e non è accettabile che un singolo Paese, come l’Italia, sia lasciato solo in questa epocale vicenda umanitaria. L’integrazione sociale dei nuovi arrivati è il punto di arrivo di un processo lungo e impegnativo, paziente, bisognoso di varie attenzioni, fatto di accoglienza, di conoscenze reciproche, di esperienze da vivere insieme, di inclusione nella vita comunitaria".

"Immagino che qualcuno chiederà: e la Chiesa, come si pone in questo variegato, mutevole e complesso contesto sociale? Essa è inserita in queste realtà umane e quotidianamente sperimenta inquietudini, paure, solitudini, povertà di tante persone e famiglie, come pure la difficoltà di trovare risposte adeguate. Le comunità cristiane hanno certamente alcuni valori da indicare, testimonianze da offrire, e anche collaborazioni da praticare. La Visita pastorale alla Diocesi che ho compiuto negli ultimi quattro anni mi ha permesso di scorgere impegno e fatiche, aspirazioni positive e stanchezze; ho colto i segni di una secolarizzazione avanzante ma anche il desiderio di una fedeltà al Vangelo più viva, capace di testimoniare umilmente ma con coerenza il senso dell’essere discepoli di Cristo. Dopo la Visita pastorale, ci stiamo ora avviando come Diocesi a realizzare quello che abbiamo chiamato un Cammino Sinodale; un tempo di riflessione e discernimento, che vedrà impegnata un’ampia rappresentanza di clero, persone consacrate e soprattutto di laici della diocesi. Vorremmo comprendere meglio quelli che il Vaticano II ha definito i “segni dei tempi”, per essere comunità cristiane autentiche dentro la storia. Vorremmo lavorare per una società migliore, condividendo l’impegno anche con chi non crede. Vorremmo coltivare il dialogo, crescere con altri nella consapevolezza della “casa comune”, in quella cura del pianeta che condiziona la nostra sopravvivenza, nel rifiuto della discriminazione, nella coscienza che è necessario pensare alle fasce deboli della società. Credo che siamo tutti convinti che niente potrà cambiare nel tessuto sociale se chi si propone come politico e amministratore non coltiva in se stesso la convinzione che l’onestà e la dirittura morale sono ineludibili, se non sente il dovere di vigilare e di contrastare, con quanto è in suo potere, le varie forme di corruzione e le azioni ipocritamente giustificate come furbizie, senso degli affari o altro. Così nessuno troverà più buon gioco a rovesciare sulla “politica” tutte le negatività che, purtroppo, sono patrimonio di altri. E infine lasciatemi ricordare che questo è possibile farlo se si è idealmente motivati, professionalmente e politicamente preparati; è possibile farlo se si è persone che sostano, pensano, studiano, con umiltà progettano e poi con coraggio agiscono per un servizio limpido, disinteressato ed efficace a favore di tutti i cittadini delle proprie comunità. A tutti Voi, alle vostre famiglie, ai vostri collaboratori, l’augurio cordialissimo di Buon Natale, di un nuovo anno sereno e proficuo, ricco di buoni frutti per voi personalmente e per le vostre comunità”.

 



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