Il commento / Il panevin 'patriarcale' e altre questioni
Polemiche a iosa sui falò, retaggio di una cultura dai pregiudizi irricevibili. E che andrebbero comunque ambientati in campagna. A San Giacomo per esempio
![foto Carlo Verardo Il commento / Il panevin 'patriarcale' e altre questioni](https://www.oggitreviso.it/sites/default/files/styles/505/public/field/image/panevin_0.jpeg?itok=kC3sbw8U)
VITTORIO VENETO - Sono emerse delle osservazioni, sulla questione panevìn, che provo a riordinare nello spazio concesso. Prima. Il panevin era un rito contadino in bilico tra paganesimo e cristianità; tecnica, luogo, liturgia, significato che lo caratterizzavano non esistono nella versione “terzo millennio” che dunque non è la ripetizione di una tradizione ma un suo surrogato scenico. Basilari erano le invocazioni a salute, prosperità, benedizione divina espresse coralmente con urla e canti come questo Che Dio ne dae la sanità e il pan e vin!. Il salmo proseguiva con delle strofe tra le quali evidenzio la seguente per il taglio sessista El Panevin /a pinza sul larin/ i fasioi pa i pori fioi/’e patate pa e femenàte (femminacce).
Prassi secolare era l’assaggio di sette -numero biblico- pinze diverse ed offerte in altrettante case sparse nel territorio, per suggellare un patto comunitario in cui solidarietà e fratellanza intergenerazionale erano essenziali. Sparito anche questo passaggio. Seconda questione. I falò si svolgevano in ambiente rurale, non certo in pieno centro urbano, e questo rappresenta un attuale aspetto di poca sensibilità ambientale e civica obbligando tutti - compresi vecchi, malati e bambini - ad inspirare per giorni gli acri derivati della combustione.
Terzo. Il picco di smog rilevato dall’Arpav all’indomani dei roghi, con inquinanti neppur tutti indagati (son monitorati i pesticidi che intridono i tralci delle viti?), va ad aggravare la qualità d’un’aria già pessima e causa di gravi danni socio sanitari. La quota occasionale delle pur migliaia di panevin non sarà paragonabile a quella dei combustibili fossili ma è del tutto superflua; non serve a scaldar le case, far da mangiare, muover le auto. Quarta riflessione. Il falò storico non era tale senza la Vecia da brusàr, il che è stato interpretato in varie chiavi (perfino anti-Venezia, in quanto città sfruttatrice dell’entroterra).
A prescindere dalla corretta interpretazione resta il fatto che si brucia con livore il simulacro di una donna vecchia brutta malvagia, e non d’un uomo, e lo si faceva in una cultura patriarcal-maschilista in cui la donna era succube e sfruttata in modo talora schiavistico; questo è un messaggio di cui non abbiamo proprio bisogno, vista anche l’attualità femminicida. Volendo rivivere civilmente questo antico rito, rievocandone solo gli aspetti positivi, basterebbe fare un unico panevin per comune, in area periferica. A Vittorio potrebbe essere l’eliporto San Giacomo o la zona industriale.
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