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15 dicembre 2024

Valdobbiadene Pieve di Soligo

NON CHIAMATELA PARTICELLA DI DIO!

A colloquio con l'astrofisico Luigi Toffolati. Cervellone in fuga da Follina verso la Spagna, in tempi non sospetti. E non per motivi professionali, ma "di cuore"

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FOLLINA – Ha fatto sognare i suoi vecchi concittadini in una notte di mezza estate. Tutti col naso all’insù, a guardare le stelle, a immaginare galassie lontane. Luigi Toffolatti, l’astrofisico, è tornato a Follina. Ripartirà presto verso la Spagna, patria d’adozione. Prima, però, ha raccontato ai follinesi le magie dell’universo, e a noi, i ricordi di un’infanzia campestre…a cinque cerchi.

Nato a Pieve di Soligo nel 1960, nel 1990 ottiene il Dottorato di ricerca in Astronomia all’Università di Padova. Per tre anni lavora all’osservatorio astronomico patavino. Nel 1991, mentre si trova in Spagna per motivi lavorativi, conosce Concha, la sua attuale compagna. Dal 1994 si trasferisce definitivamente a Oviedo, dove alterna il lavoro di ricerca a quello di docente universitario. Ora sta lavorando all’analisi dei dati ottenuti dal satellite Planck. Qualche settimana fa, Luigi Toffolatti in un’intervista a un giornale spagnolo ha raccontato di quando organizzò le Olimpiadi del 1972. Monaco? No, quelle di Follina.

Come nacquero le Olimpiadi di..Follina?

Avevo 12 anni, amavo l’atletica, facevo salto in lungo. Le Olimpiadi, quelle vere a Monaco, erano a settembre. In tv vedevo i meeting di qualificazione. A fine luglio mi venne l’idea di organizzare dei giochi “in proprio”. Chiamai i miei amici, i cuginetti, e chiunque volesse partecipare. Arrivò una ventina di ragazzi. Sul prato della casa di mio nonno preparai le corsie della pista di atletica con la segatura. Avevo cronometri e attrezzature professionali che mi passava la zia, insegnante di educazione fisica. Io non partecipavo. Ero organizzatore e giudice unico.

Che discipline c’erano?

Lancio del peso, del martello e del disco; salto in alto, salto in lungo, salto triplo; e tutte le specialità di corsa. I Giochi avevano un’impostazione molto seria. Riuscii a organizzarli anche nel ’73 e nel ’74. Dopo eravamo troppo grandi.

Si è trasferito in Spagna nel 1995: è vero che non fu una scelta professionale, ma di cuore?

Sì. Avevo già un lavoro all’osservatorio astronomico di Padova. Anni prima, però, durante una trasferta a Santander, avevo conosciuto Concha, la mia attuale compagna. I primi anni furono difficili: la distanza si faceva sentire. Andavo in Spagna 15-20 giorni ogni tanto. A fine ’95 fui nominato professore associato a Oviedo, e decisi di rimanere lì.

Consiglieresti a un giovane ricercatore, oggi, di lasciare l’Italia per fare carriera all’estero?

Intanto, sia in Italia che all’estero, chi sceglie la strada della ricerca deve prepararsi a grandi sacrifici, anche a discapito della propria vita sociale, e a tanto lavoro. È un impegno che richiede una dedizione quasi esclusiva. Poi, si può lavorare ovunque, anche in Italia, ma certamente le opportunità sono diverse. Inviterei tutti a cominciare la carriera in Italia, senza scappare. Ma se arriva un’offerta migliore dall’estero, bisogna avere il coraggio di andarci, e salutare Patria e famiglia.

Quali sono i Paesi con maggiori vantaggi per chi sceglie la ricerca astronomica?

Sicuramente il Nord Europa, specie i Paesi anglosassoni. Lì gli investimenti e il riconoscimento scientifico sono maggiori.

Ci spieghi cos’è il famoso “bosone di Higgs”, alias...”la particella di Dio”?

Non chiamatela “particella di Dio”, per carità! È un’espressione sbagliata e fuorviante [usa anche termini più coloriti, nda]. Nel ventesimo secolo, Glashow, Weinberg e Salam (tutti Nobel per la Fisica nel 1979) presentarono il modello standard delle particelle elementari. Spiega le diverse famiglie di particelle finora osservate. Il Bosone di Higgs è fondamentale perché è la particella che mancava per completare questo modello. Dota di massa altre particelle e quindi permette di spiegare come funzionano le interazioni fondamentali. Chiaro? Non importa. Basta che nessuno la chiami più “particella di Dio”.

Andrea De Polo

 

 



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