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22 dicembre 2024

Treviso

TREVISO BOMBARDATA

Il capoluogo ieri ha ricordato il tragico avvenimento del '44

| Emanuela Da Ros |

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| Emanuela Da Ros |

TREVISO - Bombardamento a Treviso. Ieri la città ha ricordato la tragedia del 7 aprile 1944.

Il 7 aprile del 1944 Treviso venne bombardata. Era la prima volta e fu una tragedia. Nessuno se lo aspettava. Era diffusa l’idea che gli alleati avrebbero bombardato le metropoli, i centri industriali o gli obiettivi militari. E Treviso non era niente di tutto ciò. Fino a quel momento, poi, gli aeri erano sempre passati oltre, in direzione nord, e le misure prese dalle autorità per parare eventuali indursioni aeree non erano tali da indurre particolari timori. Non c’erano rifugi interrati, ma i cosiddetti paraschegge, contro le raffiche delle mitragliatrici. “Tutto in un clima e con un senso quasi domestico, tanto che si invitò quanti ne avessero la possibilità, a rafforzare le proprie cantine e a munirle di scorte d’acqua e di viveri”, scrive Ernesto Brunetta.

Eppure le cose non stavano proprio così. Treviso rientrava nella cosiddetta operazione Strangle, strangolamento. Gli alleati puntavano ad indebolire l’esercito tedesco in Italia bloccando i rifornimenti ferroviari che arrivavano dal nord Europa. Gli obiettivi principali erano Padova, Verona, Bolzano, Torino, Genova e Milano. Treviso era una delle stazioni sulla linea Bologna-Udine, e aveva uno scalo merci di non trascurabili dimensioni, lo scalo Motta, deposito non secondario di materiali bellici in transito e in attesa di smistamento. Il piano di attacco era pronto dal 6 marzo 1944. L’aeronautica attendeva il miglioramento delle condizioni atmosferiche. Era fondamentale, per gli americani, la presenza del bel tempo e della luce del giorno. I piani di bombardamento prevedevano, infatti, di colpire gli obiettivi strategici con l’utlizzo del puntatore Norden. Il buio della notte e il mal tempo non aiutavano. Treviso, quindi, rientrava nell’operazione strangolamento. Il nome del piano d’attacco era Good Friday, forse perché era stato preparato per venerdì santo, 7 aprile 1944.

In città c’era molta gente. Oltre agli abitanti e ai militari tedeschi, c’era anche chi veniva da fuori per comprare qualcosa per festeggiare la Pasqua. Nonostante i rapporti dell’aeronatica militare dicano che l’attacco si svolse poco prima dell’una e mezza, i testimoni hanno detto e dicono che gli aerei arrivarono poco dopo le 13. Esattamente alle 13 e 05. L’attacco durò sette minuti e fu una tragedia. La città era quasi totalmente distrutta. Quasi l’80% degli edifici cittadini crollò. Tra questi, il Palazzo dei trecento. Gran parte dei campanili, tuttavia, resistette, a differenza delle chiese a cui erano affiancati. È il caso, del campanile del Duomo ad esempio. I morti civili, senza contare quelli tedeschi, furono 1600. I cosiddetti paraschegge non erano pronti a sopportare l’urto delle bombe. Quelli colpiti, infatti, crollarono. Molti abitanti non scapparono, perché continuavano a credere che Treviso non potesse essere bombardata, anche se i tedeschi, tuttavia, avevano rafforzato la contraerea. I superstiti parlano di una città stravolta. “Sembrava che ci fosse la nebbia”.

La città infatti si trovò avvolta in una nube per la polvere sollevata dai crolli e per i gas di combustione degli incendi che continuavano a bruciare visto che la caserma dei vigili del fuoco era stata colpita. Per le strade, oltre alle macerie, scorreva l’acqua delle fogne scoperchiate dagli scoppi. Treviso venne bombardata altre tre volte, ma mai con gli stessi effetti. La popolazione si era allontanata dalla città e aveva capito come difendersi. Ma, soprattutto, aveva rinuciato all’idea che Treviso fosse inattaccabile. Si è detto per molto tempo che gli americani avrebbero sbagliato, perché dovevano bombardare Tarvisio. Ma è difficile ammettere tale incompetenza. Si è anche parlato di un segreto appuntamento tra importanti militari italiani e tedeschi in città. Ma perché non dichiararlo nei piani di attacco oramai di dominio pubblico, si chiedono gli storici. Anche se Antonello Relia, continua ad indegare questa pista. Si è detto che un attacco così violento fosse parte di una tecnica terroristica che puntava a piegare i sostenitori del nemico. Ma la strategia americana non era questa. Ernesto Brunetta e Nazzareno Acquistucci hanno concluso che i sistemi di puntamento, l’altezza da cui gli aerei sganciavano le bombe, e la ridotta dimensione della città, sono stati i fattori che causato maggiori danni. Ieri Treviso ricordava tutto questo. C’erano i testimoni di allora, c’erano i rappresentanti istituzionali, c’erano studiosi e appassionati. Una comunità di memoria un po’ chiusa in se stessa e nei suoi ricordi. Giancarlo Gentilini, presente ieri alla masse delle 10 alla chiesa votiva, testimone adolescente di quanto accadde quel venerdì, sollecitato a trovare una forma di diffusione del racconto del 7 aprile nelle scuole, pensa che sia difficile coinvolgere le scuole nella giornata del ricordo, perché c’è la possibile accusa di strumentalizzare la storia, perché il giovani sono poco interessati, e perché la burocrazia scolastica complica e fa abortire qualsiasi tentativo. La posizione di Gentilini è amara.

Eppure il racconto di quello che è successo incuriosisce i ragazzi, soprattutto quelli che hanno ancora i nonni o i bisnonni che raccontano. Come he ben detto il vescovo emerito di Treviso, Paolo Magnani, la memoria è un esercizio che si fa con il cuore e che si fa insieme. Ricordare infatti significa “ricondurre al cuore”. Ma la comuntà di memoria non può chiudersi in sè stessa e non aprirsi alla condivisione del ricordo, perché non si dà spazio a chi non c’era di conoscere e comprendere. Ieri, alle 10, terza media Mantegna ha assistito alla celebrazione nella chiesa votiva. In piazza dei Signori, all’una, è arrivata la terza media della scuola Steineriana di Silea per ascoltare i sette minuti di rintocchi della campana. Era facile notarli. Era bello vedere la loro curiosità. È vero che la scuola ha fatto molto, ha pubblicato libri sui laboratori nel 2004, in occasione del 60° anniversario del bombardamento, ma forse non basta. Le classi passano, i libri rimangono in biblioteca. Raccontare induce almeno alla curiosità.

Alessio Imbò

 



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