Trivelle, la Consulta boccia il ricorso del Veneto
(di Eva Bosco) - Sulle trivelle le Regioni non 'mollano'. La Corte Costituzionale ha stoppato l'azione messa in atto per far rivivere due referendum chiave 'bocciati' dalla Cassazione: i ricorsi per conflitto d'attribuzione che investivano le norme sul regime di concessioni e proroghe e quelle sul piano delle aree, ossia lo strumento per programmare le trivellazioni. Ma la contromossa è già pronta: oggi due giunte regionali, Puglia e Veneto, depositeranno due ricorsi in via principale di fronte alla Consulta per impugnare le stesse disposizioni contenute nella legge di Stabilità.
Al momento, però, l'unica certezza resta il referendum già fissato per il 17 aprile, quello sulla durata delle concessioni per le estrazioni in mare entro le 12 miglia, che "a questo punto si carica di ulteriore peso politico", fa notare il presidente del Consiglio regionale della Basilicata, Piero Lacorazza. Ai cittadini sarà chiesto se vogliano abrogare le misure che, in sostanza, parametrano questa durata alla vita del giacimento. Ma per gli altri quesiti la strada è in salita.
Il primo altolà è arrivato quando l'ufficio centrale per il referendum presso la Cassazione, alla luce delle modifiche apportate dalla legge di Stabilità, ha riesaminato i quesiti, ammessi in una prima fase, e ne ha mantenuto uno solo, respingendo gli altri. La Corte Costituzionale ha, per la sua parte, confermato questo impianto. A questo punto sei Regioni - Basilicata, Puglia, Liguria, Marche, Sardegna, Veneto - hanno tentato la via del conflitto di attribuzione tra poteri sollevato contro Presidenza del Consiglio, Parlamento e Cassazione, per far rivivere almeno due dei referendum. Ma la risposta, giunta ieri, è stata negativa: i ricorsi non hanno i requisiti per essere ammessi. Perché?
Perché la volontà di sollevare i conflitti di attribuzione relativi alle trivellazioni non sono state espresse da almeno cinque dei Consigli regionali che avevano richiesto i referendum. In effetti, causa tempi tecnici molto stretti che non consentivano i passaggi in commissione, la convocazione dei consigli regionali e il voto, la delega, cioè l'incarico formale, al rappresentante delle Regioni nel comitato referendario l'ha votata il solo Veneto. Si sperava che questo fosse sufficiente, visto che era pacifica la volontà delle altre 5 Regioni. Ma sul piano tecnico-formale, manca un tassello, che è poi il corrispettivo dell'investitura popolare necessaria anche per proporre il referendum. "I giudici si sono appigliati a motivazioni piuttosto pretestuose", commenta Loredana De Petris, presidente del Gruppo Misto-Si al Senato. Ora si tenterà di riproporre la battaglia con i ricorsi di Puglia e Veneto.