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24 novembre 2024

Oderzo Motta

La chiesa dell’ospedale di Motta non riapre? Lui scrive al Papa

L’iniziativa dello scrittore Emilio Del Bel Belluz

| Gianandrea Rorato |

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La chiesa dell’ospedale di Motta non riapre? Lui scrive al Papa

MOTTA DI LIVENZA - Torna la polemica della chiesa dell’ospedale chiusa e non più riaperta dopo la pandemia.

Lo scrittore e storico mottense Emilio Del Bel Belluz, dopo aver reso noto il problema qualche tempo, fa, mercoledì ha preso carta e penna e ha scritto al vescovo Corrado Pizziolo, a Papa Francesco e al governatore Luca Zaia.

Il problema è noto. L’ingresso alla chiesa era vietato durante le drammatiche fasi della pandemia. Poi un mese e mezzo fa aveva aperto per un progetto riabilitativo, ospitando un simulatore di barca a vela all'interno della chiesa. Il progetto ora si è concluso. «Dunque perché la chiesa non è stata ancora riaperta per le celebrazioni del sabato pomeriggio?» chiede Del Bel Belluz.

Qui tutta la spinosa questione con la risposta del direttore sanitario.

Qui la lettera integrale.

Vostra Eccellenza Reverendissima, Monsignor Corrado Pizziolo,

      mi chiamo Emilio Del Bel Belluz, sono nato e vivo a Motta di Livenza. Nella mia vita ho cercato di essere un  cattolico con il cuore rivolto ai poveri e a quelli che cercavano una mano. Il mio insegnamento è sempre stato quello che dice: “Stat crux dum volvitur orbis”.Tutto gira  eccetto la croce di Cristo, alla quale dobbiamo rivolgerci con umiltà. Mi permetta di raccontare il mio rapporto con l’eccellentissimo ospedale di Motta di Livenza. Una decina d’anni fa  vi fu  ricoverato, in fin di vita, mio padre, Elso Del Bel Belluz. Nella stanza molto confortevole dove fu ricoverato non vi era il crocefisso, e quando chiesi delle spiegazioni, mi risposero che i crocefissi erano stai tolti dopo la pittura delle stanze.

Non ebbi alcuna esitazione e portai da casa un crocefisso, perché mio padre non poteva morire senza la presenza e il conforto della croce.    Allora parlai con i dirigenti e riuscii a far ricollocare dei nuovi crocefissi nelle stanze di degenza, dico nuovi, perché quelli vecchi che avevano fatto compagnia a molte persone nel momento del dolore, non vennero mai fuori. Una donna un giorno mi disse che suo marito morendo, indicò il muro dove erano stato collocato il crocefisso, quello riammesso, la donna lo staccò dalla parete e mentre l’uomo morente lo prendeva tra le mani e lo baciava, un sorriso illuminava il suo volto. In una riunione, in cui partecipai assieme a dei dirigenti dell’ospedale, rammentai che erano state tolte anche le statue delle Madonne collocate da anni in ogni reparto.

Erano molto belle e i ricoverati o i loro parenti si soffermavano a pregare per cercare consolazione e aiuto nell’affrontare la malattia. Nessuno mi disse che fine avevano fatto, gli angoli dove stavano erano vuoti. Qualcuno mi ha detto che quando si toglie un crocifisso o una Madonna il segno rimane. Ma non tutti riescono a vederlo.  Allora dissero che le statue erano state tolte per motivi di sicurezza. Fu così che proposi di fare degli affreschi nei luoghi dove erano collocate, naturalmente a mie spese. Quello che mi tormentava era che non potevo immaginare persone nella sofferenza e parenti senza un riferimento religioso. Nell’ospedale vicino,  come Oderzo, ci sono crocefissi appesi in ogni stanza, oltre a delle Madonnine in ogni reparto e una chiesetta con la statua di San Pio, dove spesso mi sono recato a pregare. Alla fine convenimmo che avrei fatto fare quattro quadri a tema religioso da un artista di Motta di Livenza, Antonio Lippi che avrei collocato al posto delle Madonne. Le opere pittoriche sono state ultimate, ma i referenti dell’ospedale non sono nemmeno venuti a vederle. Attualmente la chiesetta dell’ospedale è chiusa, e sono venuto a conoscenza che non c’è alcuna intenzione da parte della Diocesi di riaprirla. Pertanto, i malati ed i loro parenti non avranno più un luogo dove recarsi a pregare od ascoltare la S. Messa che veniva celebrata il sabato sera da don Stefano, attualmente impossibilitato a causa delle sue scadenti condizioni fisiche. Tanti mottensi, come me, sono molto rammaricati della sua chiusura e mi hanno chiesto di chiedere alle sedi competenti, il suo ripristino religioso.  All’interno di questa chiesetta c’era un quadro di San Leopoldo Mandic’, protettore dei malati oncologici, di cui il 30 luglio si ricorderanno gli ottanta anni dalla sua morte. Speravo che si potesse celebrare la S. messa, ma così non sarà. L’insegnamento di San Leopoldo era: “ Fede abbiate fede. Dio è medico e medicina”.  Le chiese non dovrebbero essere chiuse al culto.  Lo scrittore Kipling scrisse: “ Nulla può dirsi concluso finché  non è concluso con giustizia”. Sono consapevole che non posso fare nulla, non sono che un cattolico e nel mio cuore spero che in altri ospedali non succeda quello che è capitato a  Motta. Riporto una citazione dello scrittore premio Nobel. Hermann Hesse : “  Amate chiese… , amate cappelle, edicole e nicchie, quante piacevoli ore ho passato come vostro ospite. Quanta gioia mi avete procurato, quanta gradevole, benefica ombra, quanti moniti per ricordarmi quello che non facciamo, quanti richiami a una lieta, coraggiosa, sincera pietà vitale. Quante messe ho ascoltato tra le vostre pareti… Fate parte di questa terra come i monti e i laghi, come le valli selvagge profondamente incassate, come il suono capricciosamente giocoso che si diffonde dai vostri  campanili”.

Con stima e con malinconia, Le porgo i più distinti saluti.

Emilio Del Bel Belluz

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| modificato il:

Gianandrea Rorato

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