Ecco le erbe spontanee di primavera

Invito ai lettori: proponete in questa rubrica i vostri piatti con le erbette

| Giampiero Rorato |

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Giampiero Rorato | commenti |

TREVISO - Con le prime pioggerelle è finalmente scoppiata la primavera anche nei prati, lungo gli argini dei fiumi, in collina e nelle radure fra i boschi montani.

Le erbe hanno ripreso a crescere, le gemme degli alberi si sono tutte aperte, i primi fiori, dopo le primule che hanno fatto da battistrada, mostrano orgogliosi i loro colori.

Anche quest’anno, dunque, la natura si sta mostrando molto generosa donandoci le stupende erbette spontanee, ricche dei propri umori, ora dolci, ora amari, che si trasformano in piatti capaci di purificare il corpo, depurandone le linfe appesantite dai grassi invernali.

I teneri apici del luppolo selvatico (i bruscandoli), i freschi germogli dell’asparagina (spàresi selvàreghi), del gittone delle macchie (réce de lièvero), dell’ortica, della silene inflata o vulgaris (grìsoli o s’ciopeti), del taràssaco o dente di leone (radicèe o radici col botòn o pissacàni, o fratoci), del rosolaccio o papavero selvatico (rosoline o peverèl), i teneri virgulti del pungitopo (rust, rustegot), si offrono a infinite varietà di preparazioni, dalle zuppe ai risotti, dalle minestre alle frittate, alle rinfrescanti insalate primaverili (preparate con i germogli e le foglioline più tenere), alle verdure cotte che accompagnano ottimamente le carni.

Queste erbette appena ricordate sono alla base della tradizione delle nostre campagne, come dire che il loro impiego nelle nostre cucine è consolidato da secoli, anche se le vicende della storia (come le guerre e l’attuale pandemia) hanno di volta in volta accentuato o allentato il rapporto fra la cucina e le erbe spontanee.

Mi piace poi ricordare che accanto alle erbe ricordate, ben note a tutte le nonne a tante brave giovani cuoche di oggi, ce ne sono molte altre, il cui impiego è comunque più ridotto, o limitato a qualche area o introdotto da non molto tempo grazie a qualche ristoratore e cuoco attenti e capaci, e penso al Gruppo Trevigiano dei Ristoratori delle Erbe e dell’Asparago che ha radicato nella cucina trevigiana molte erbe di primavera.

Per le altre erbette penso al cumino dei prati (Carum carvi) tanto amato dalla grande e indimenticata Malvina Procida che lo usava nei suoi deliziosi risotti e che il figlio Andrea e la sua bravissima moglie continuano a proporre assieme ai piatti che hanno reso grande e famoso il ristorante di San Biagio di Callalta. Penso poi al crescione (Nasturtium officinale), alla valerianella chiamata anche gallinella o galeti (Valerianella olitoria), all’acetosa, detta anche lengua de vaca o pan e vin (Rumex acetosa)) agli spinaci di montagna o buomenrico (Chenopodium bonushenricus), al raponzolo o raperonzolo (Canpanula rapunculus) e ancora al radicchio dei campi, alla ruchetta selvatica e potrei continuare.

Pensate a quale e quanta ricchezza ci offre gratuitamente la natura, basta voler coglierla. E allora faccio una proposta. Sarò felice di pubblicare in questa rubrica le vostre ricette con la foto del piatto per mostrare quanto amore c’è in tantissime case per le erbe spontanee (scrivetemi qui). È un invito per scoprire assieme la gran varietà di piatti che i nostri lettori sanno preparare con sapiente maestria.

 

Foto in apertura: frittata con le erbe di primavera della chef Chiara Canzoneri; foto nel testo, frittata di primavera di Nereo Dussin
 

 



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