Gattari e… “nutriari” a Castelfranco
Da sempre c’è chi porta da mangiare ai gatti randagi ma ora in città c’è anche chi ha deciso di adottare le nutrie dell’Avenale
CASTELFRANCO – Se chi porta da mangiare ai gatti randagi viene chiamato “gattaro” chi lo porta alle nutrie può essere definito “nutriaro”? Il dubbio permane visto che ad oggi un termine per la nuova tendenza del momento non è stato ancora coniato ma nell’epoca del web in cui tutto corre veloce di certo presto ci penserà qualcuno a trovare l’appellativo più appropriato.
Un’esigenza linguistica che nasce con l’insediamento di una colonia di nutrie, dette anche castorini, lungo molti corsi d’acqua nel nostro paese, come a Castelfranco dove una famigliola ha trovato casa sulle sponde dell’Avenale e oramai abituatasi ai passanti e al traffico cittadino, si mostra senza timori. Molti si fermano ad osservare i nuovi abitanti del rio e scattano foto ma c’è anche chi di recente ha deciso di portare loro qualche risorsa alimentare, per lo più frutta e ortaggi.
Ma cos’è una nutria, si chiedono molti? “La nutria (Myocastor coypus (Molina, 1782)), detta anche miopotamo coipo, castoro d’acqua, ratto di palude e mulo de Rio Ospo, è un mammifero roditore originario del Sudamerica, unica specie vivente del genere Myocastor e della famiglia Myocastoridae”: si legge nel web.
Una specie aliena, quindi, introdotta nel nostro paese per la sua pelliccia ed allevata in cattività propri per la produzione d’abbigliamento, dato che il suo manto ricorda molto quello del cugino castoro: la nutria però è più facile ed economica da allevare, da qui la sua sfortuna sorte di animale da pelliccia. Secondo una tesi plausibile diversi esemplari sono fuggiti da degli allevamenti locali ed essendo particolarmente prolifici, come tutti i roditori, si sono insediati e diffusi sul territorio.
A dirla tutta è andata proprio così, perlomeno nella Marca. La cronaca locale di oltre 2 decenni fa riportava infatti di un incidente in un allevamento sul greto del Piave (presso Bigolino - Valdobbiadene) con la fuga di centinaia di esemplari che in buna parte morirono poi di fame, vista l’indisponibilità di cibo per la stagione fredda ma anche per la loro incapacità di procacciarsi i cibo, come tutti animali allevati in gabbia. Di questi fuggitivi pochi superstiti sono però bastati a popolare una colonia che nel corso degli anni si è insediata stabilmente sul territorio.
Di fatto si tratta di bestiole inoffensive, basta vedere la famigliola che spesso si mostra vicino all’ingresso del vecchio ospedale di Castelfranco. Una presenza però non gradita da tutti giacché molti gli attribuiscono la responsabilità di minare gli argini del corso d’acqua, con i loro reticolo di tane. Le nutrie sono molto abili a scavare, infatti. Della questione si è ampiamente dibattuto anche di recente nei social.
In verità la questione è dibattuta da tempo su Facebook e giustamente a chi invocava campagne di sterminio della sventurata bestiola il gruppo SOS Zampe in difficoltà ha risposto: “In una città dove il cemento prolifica OVUNQUE e senza tregua , preoccuparsi per i danni degli “scavi” di qualche nutria , è come voler asciugare il mare con un rotolo di Scottex”.
Ad oggi quindi la presenza delle nutri è percepita ancora come estranea e c’è chi teme malattie trasmesse dalle bestiole, anche se in tale senso non vi sono assolutamente evidenze scientifiche. C’è poi chi crede siano dei grossi ratti o addirittura dei capibara o chi ironizza sulla commestibilità delle sue carni. Ma progressivamente sta emergendo anche una certa simpatia verso questi roditori che loro malgrado si sono ritrovata a vivere da noi: da qui la nuova tendenza di portare loro da mangiare, che sembrano apprezzare.
Foto in primo piano scattata da Angelo Miatello e "nutrie che mangiano" di Valter Garatti