Dentro a un album di foto e dediche Ofelia vive insieme a tutti i suoi parenti
Come sentire sempre vicini i propri familiari. Ma c'è chi chiede alle case di riposo di fare di più adesso che i familiari sono distanti.
TREVISO - Nella casa di riposo diventata clausura per colpa della pandemia, la sofferenza è per chi lì dentro vive ancor di più la solitudine. Ma è anche di chi proprio quell’isolamento ha sempre fatto in modo di alleviare – fino a quando il Covid non si è messo di traverso - con la presenza assidua: i familiari. Entrato proditoriamente anche negli istituti di ricovero di Treviso, il virus ha fatto chiudere a chiave le porte e sigillare le finestre. Ai più non rimane (e visti i tempi non è poco) che “schermarsi”: il display del cellulare e il tablet sono l’unico tramite per mantenere il contatto e alimentare gli affetti.
Ma si prova talvolta anche a ingegnarsi. Come Luciana, che alla mamma Ofelia ha recapitato un book fotografico. Non il vecchio album delle fotografie del tempo che fu. Una raccolta di ritratti delle figlie, del genero, dei due nipoti e dei tre bisnipoti. E poi anche dei parenti di secondo grado, dei vicini di casa. La famiglia allargata che a Ofelia continua a voler bene e che lei ricorda e ora può rivedere e riconoscere, uno a uno, nome per nome, in ogni momento della sua lunga giornata. Molte le dediche, i saluti: “Ti pensiamo”, “Siamo lì con te”, “Presto torneremo a trovarti”. Con qualche bel disegno colorato dei più piccini. Poi alcuni aneddoti, la rievocazione di qualche episodio memorabile. Ofelia sfoglia quel libro e lo risfoglia: un regalo davvero originale. Lo condivide anche con chi, in quella casa, adesso trascorre con lei questa fase della vita. Non si sente abbandonata: sono tutte lì dentro, in quell’album, le persone a lei più care e alle quali ha dato tanto. E che un po’ di sollievo proveranno immaginando di essere accarezzate da Ofelia mentre gira le pagine. Questo al momento – per restare in tema di clausura – può passare il convento della casa di riposo.
C’è però chi non si rassegna. E ricorda che, alla riapertura dopo il primo lockdown, i propri anziani gli avevano raccontato con un certo pudore, sotto voce per non farsi sentire che quando non si poteva andarli a trovare non è filato tutto liscio. “Al Menegazzi non li portavano mai in giardino, malgrado l’ordinanza di Zaia lo consentisse” - sbotta Elena. La mamma ha novant’anni e quando ha potuto rimettere piede nella struttura l’ha scoperta fissa sulla sedia a rotelle. “Altri anziani, che incontravo quasi ogni giorno, li ho ritrovati regrediti dal punto di vista cognitivo. Certo la mancanza di contatto con i familiari e i minori stimoli hanno sortito un effetto devastante. La mia impressione però è che per timore di denunce penali ci si sia preoccupati in maniera ossessiva dei protocolli; fino all’assurdo, anche in tempi recenti, di non avere il permesso di poter sfiorare la mano ai propri anziani nonostante l’igienizzazione rigorosa e la mascherina”. Giustissimo, conclude Elena che però punge: “Il Covid nelle case di riposo lo portano solo i parenti? Gli operatori sono tutti immuni?”