«ESONDAZIONE CALCOLATA A TAVOLINO»
La proposta del vicesindaco di Motta Graziano Panighel
MOTTA DI LIVENZA - «A tavolino deve essere deciso dove, in caso di necessità , il fiume deve allagare scegliendo così il male minore . Deve essere inoltre quantificato in via previsionale il danno».
Lo ha detto il vicesindaco Graziano Panighel (nella foto) a proposito del rischio esondazione degli ultimi giorni. E sulla questione, in una nota, spiega per filo e per segno il problema. Accusando senza mezzi termini la Regione Friuli Venezia Giulia della situaiozne di stallo per la diga sul Meduna.
«Il Meduna è un fiume del Friuli-Venezia Giulia, principale affluente del fiume Livenza, nel quale confluisce nella bassa pianura pordenonese, dopo aver ricevuto le acque dei fiumi Cellina e Noncello.
E’ il fiume Meduna la principale causa dell'alluvione del 1966 a Motta di Livenza. Per mettere in sicurezza il nostro territorio dal rischio alluvione è necessario essere in grado di trattenere a monte 100 milioni di metri cubi d’acqua.
Per ottenere questo risultato, a seguito dell'alluvione del 1966, sono stati individuati fin dal 1974 principalmente tre interventi : una diga sul Cellina , una diga sul Meduna e il bacino del Pra dei Gai.
La diga sul Cellina è stata costruita (diga di Ravedis) mentre la diga sul Meduna è rimasta un’ipotesi. Il Bacino del Pra dei Gai ha avuto una prima progettazione negli anno 80, poi il progetto è stato ripreso dopo l’evento del 2002 e risulta parzialmente finanziato per 40 milioni».
Panighel accusa: «La parte Friulana ha ostacolato di fatto la realizzazione dell’opera che attualmente si trova in una situazione di stallo. Inoltre dopo la piena del 1966 sono stati, negli anni 70 innalzati gli argini, dopo la piena del 2002 sono stati ulteriormente rinforzati e ricalibrati (in pratica livellati portandoli al punto più alto) gli argini del Meduna (che si trova in Friuli) e parzialmente rinforzati ( solo alcuni tratti che avevano dimostrato particolari criticità ) gli argini della Livenza per la parte veneta.
L’entità dei lavori fatti in Friuli rispetto a quelli fatti in Veneto ha certamente spostato il rischio di esondazione in prevalenza sul Veneto . Non solo ma le gestione (quando e quanta acqua trattenere/rilasciare) della diga di Ravedis è “friulana” e ciò comporta che non ci siano adeguate garanzie per un uso che tenga conto delle esigenze del nostro territorio.
E’ evidente che la piena del 2002 e la piena del 2010 sono l’ulteriore dimostrazione che le opere già individuate devono essere realizzate. L’opera più importante deve essere fatta per altro in Friuli che fino ad oggi ( e sono passati più di 35 anni) non ha mostrato un concreto interesse a realizzarla.
E’ necessario poi, fra l’altro, che venga fatta una corretta manutenzione dell’alveo del fiume eliminando le criticità dovute alla presenza degli alberi che frenano il deflusso dell’acqua del fiume in piena .
In ultima bisogna anche eliminare le nutrie che hanno già provocato danni agli argini del Monticano e che potrebbero danneggiare anche gli argini del Livenza».
E conclude: «Penso che a questo punto lo Stato Italiano debba imporre alla regione Friuli un figura istituzionale che abbia risorse per realizzare le opere e il potere per imporle. In assenza e in attesa (che deve essere la più breve possibile) degli interventi risolutivi è però inaccettabile pensare di far scegliere al fiume dove allagare.
Non è pensabile che venga allagata la Città di Motta o la sua area industriale o anche altri centri abitati con danni di centinaia di milioni di euro e con conseguenze irreversibili che andrebbero a compromettere il futuro della città . A tavolino deve essere deciso dove , in caso di necessità , il fiume deve allagare scegliendo così il male minore.
Deve essere inoltre quantificato in via previsionale il danno e accantonata da subito la somma necessaria per indennizzare adeguatamente chi subisce l’esondazione “pilotata”».