La Corte Costituzionale boccia la norma veneta che "ha aumentato del 400% l'escavazione nei fiumi"
Zanoni: "Il finale era già scritto, troppe cose non tornavano".
TREVISO - La Corte Costituzionale ha bocciato la discussa legge della Regione Veneto che nel 2021 ha aumentato il limite di escavazione nei fiumi, perchè illegittimo. Più precisamente nelle motivazioni si legge che è "manifestamente incongrua" la norma veneta secondo cui sono state "considerevolmente ampliate le quantità di materiale litoide che può essere estratto dagli alvei e dalle zone golenali in assenza di appositi piani". Una decisione, quella della Corte Costituzionale, auspicata da molti tra i quali il consigliere regionale dem Andrea Zanoni secondo il quale: "Il finale era già scritto, troppe cose non tornavano".
"Il dispositivo della Corte Costituzionale che boccia in quanto incostituzionale la deroga sulle escavazioni nell’alveo dei fiumi fatta approvare nel 2021 a colpi di maggioranza dalla Giunta Zaia rende giustizia di una serie di evidenti incongruenze che come relatore di minoranza, in sintonia con tutti i colleghi di opposizione, avevo evidenziato fin dalla presentazione in aula della legge, a cui poi era seguito un esposto al Ministero dell’Ambiente”. Il consigliere Pd Andrea Zanoni ripercorre le tappe che hanno portato a questo esito.
“La prima incongruenza riguarda l’entità della deroga” illustra. “Per questioni di dissesto idrogeologico già prima del 2021 nei fiumi veneti si poteva scavare in assenza di piano di escavazione fino a 20 mila metri cubi. Dopo le elezioni regionali del 2020 il consigliere leghista Roberto Bet, uomo di Zaia espressione del territorio della Sinistra Piave, predispose un progetto di legge sul governo del territorio in cui finì dentro di tutto, compresa l’elevazione del 400% di detto limite, portato a 80 mila metri cubi. Una ‘deroga della deroga’ che non aveva alcune giustificazione pratica e insinuava il dubbio: serviva alla sicurezza di tutti o al profitto di pochi?"
“Seconda incongruenza: della legge beneficiavano soprattutto una manciata di ditte situate in un solo tratto di un solo fiume del Veneto: il Piave, nel tratto compreso tra i comuni di Maserada, Spresiano e Cimadolmo. E’ singolare che su un fiume esteso per 230 chilometri si scavi sempre e soltanto in un unico tratto di circa 10 chilometri, in corrispondenza dei comuni che ospitano stazioni fisse di proprietà di noti cavatori del posto” aggiunge. “L’incongruità della norma era stata segnalata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri attraverso un esposto al Ministero dell’Ambiente. La legge è stata impugnata dallo Stato e la Consulta si è infine espressa, riportando un po’ di giustizia in un territorio ormai martoriato da mille emergenze ambientali” conclude il consigliere.