OCCUPAZIONE, LE ASSUNZIONI NELLA MARCA SCENDONO AI LIVELLI DEL 2000
Preoccupazione della Cgil che fa un’analisi della situazione occupazionale completamente diversa da quella degli industriali
| Laura Tuveri |
TREVISO – Nel 2010 non sono previsti più di 85 mila nuovi contratti. Si profila una netta flessione del lavoro a tempo indeterminato e una crescita di somministrazione e precariato. Sono le previsioni dell'Ufficio Studi della Cgil che è pervenuta ad un’analisi completamente diversa da quella effettuata dagli industriali.
Ecco come commenta i dati Paolino Barbiero (nella foto), segretario generale della Cisl di Treviso : "Analisi diversa da quella degli industriali, i nostri numero dicono che imprese non vedono la ripresa. Servono nuovi strumenti di formazione continua e riqualificazione".
Barbiero fa notare che non solo l'occupazione è in calo e diminuiscono le assunzioni rispetto allo stock massimo degli occupati nel 2007 (400 mila), “ma a perdere è soprattutto la qualità contrattuale, considerato che il 78% dei nuovi assunti ha rapporti a tempo determinato, in somministrazione e atipici.
Si tratta di un segnale importante che marca la scarsa fiducia delle imprese rispetto ad una ripresa stabile. La nostra è una analisi diversa da quella fornita dagli industriali e dal prof. Feltrin, perché si basa su una valutazione quantitativa e qualitativa degli ultimi dieci anni".
Prosegue ancora Barbiero: "Nella migliore delle ipotesi le assunzioni, nel 2010, raggiungeranno quota 85 mila, marcando così una "retrocessione" della dinamicità del mercato del lavoro ai livelli del 2000. La differenza sostanziale sta nella qualità contrattuale: se dieci anni fa le assunzioni a tempo indeterminato rappresentavano oltre il 40% del totale e quelle a tempo determinato - circa il 35% - si trasformavano entro 12 mesi in rapporto stabile, oggi il 45% dei contratti è a tempo determinato per oltre 36 mesi, mentre il lavoro a tempo indeterminato è sceso al 15%.
Inoltre avanzano in maniera significativa i contratti di somministrazione (18%) e le forme contrattuali atipiche, che passano dal 3% del 2000 ad oltre il 20% previsto per l'anno in corso". Per il numero uno della Cgil si tratta di indicatori che mettono in evidenza “l'assenza di segnali strutturali di vera e stabile ripresa, segnalano anche una discesa della qualità delle aziende perché a lavoro instabile e precario corrisponde un tessuto di impresa economicamente fragile e con una scarsa tenuta dei livelli occupazionali”.
E tutto questo preoccupa molto in quanto rappresenta anche “un limite alla crescita delle professionalità, che è invece uno degli ingredienti di cui il modello imprenditoriale locale necessita per agganciare eventuali prospettive future di ripresa solida nei mercati internazionali, attraverso produzioni di qualità meno esposte alla concorrenza dei paesi emergenti".