La pandemia ci fa riscoprire la montagna. Anche per abitarci
Tra turismo e ripopolamento: la pandemia ci fa guardare alle nostre montagne in modo diverso, da “nuovi montanari”.
| Sara Saccon |
Da settimane ci sentiamo dire quanto sia importante – visti i tempi difficili - supportare il nostro Paese anche attraverso la scelta delle mete della nostra estate 2020. Fortunatamente anche il tanto caldeggiato turismo di prossimità rappresenta per noi abitanti del bel Paese un’ottima occasione per visitare luoghi vicino a casa che nascondono bellezze dal valore inestimabile.
Tra queste ci sono sicuramente le vette delle Dolomiti, già patrimonio Unesco, che dal territorio veneto sconfinano in Trentino, lasciando ogni frequentatore a bocca aperta. Nonostante tradizionalmente i monti vengano battuti nei numeri dalle località balneari, forse la stagione 2020 può considerarsi un po’ più fortunata: sono infatti numerosi coloro che quest’anno hanno optato per un ritorno alle montagne, talvolta anche solo per una gita fuori porta in giornata.
Alcune località in particolare, infatti, sono diventate (anche se già da qualche anno) preda di un turismo sfrenato. Impossibile non citare il caso del lago di Braies, le cui foto hanno fatto il giro del mondo e dove già solamente nell’estate 2018 erano arrivati 1,2 milioni di visitatori.
Ma se dopo la pandemia in molti sembra essersi riaccesa una passione per le nostre vette, c’è anche chi si occupa del lato più infelice che da decenni sembra incombere sui paesi delle Prealpi e Alpi venete in particolare: lo spopolamento. Non tutte le zone riescono a vivere di turismo e i giovani che scendono verso la pianura alla ricerca di nuove opportunità sembrano essere sempre più numerosi.
Così, guardando al nuovo ruolo che le montagne possono avere nelle nostre vite, a partire dalle vacanze ma anche dai prodotti che consumiamo, il professore di geografia dell’università di Padova Mauro Varotto ha scritto un libro “Montagne di mezzo. Una nuova geografia”, nel quale pone le sue riflessioni a riguardo. Varotto, così come ripreso da un articolo di Internazionale, scrive di quei monti che possono ripopolarsi, di quelle zone che non sono solo da visitare e contemplare, ma da abitare. E così nelle sue riflessioni invoca quelli che definisce “i nuovi montanari”, in un fenomeno che statisticamente risulta ancora debole, ma che raggruppa innovatori e ottimisti, giovani coppie e famiglie allargate, pensionati, intellettuali e creativi. Pronti a far rivivere le montagne secondo nuovi modelli, seminano, producono e raccolgono, allevano animali, avviano imprese.
In un contesto nel quale la pandemia ancora imperversa, possono quindi nascere nuove importanti riflessioni sugli ambienti a noi vicini, a partire dalla riscoperta di preziose mete turistiche, ma per una rinascita della montagna in tutti i suoi aspetti!