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03 dicembre 2024

Vittorio Veneto

Lo scrittore Massimiliano Santarossa, con il suo “Pane e ferro”, ci accompagna nell’intensa storia veneta e friulana del ‘900

Intervista allo scrittore pordenonese che presenterà l'ultimo lavoro al Castrum di Serravalle sabato 4 luglio alle 18

| Lieta Zanatta |

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Massimiliano Santarossa

VITTORIO VENETO – Tre anni per ricostruire un secolo. Quel Novecento che ha così velocemente cambiato dal dentro le società, trasformandole da maggiormente agricole a prevalentemente industriali, costringendole a ricomprendere il loro nuovo ruolo.

Massimiliano Santarossa, scrittore di lungo corso, presenta il suo ultimo romanzo, “Pane e Ferro”, al Castrum di Serravalle di Vittorio Veneto, nel gazebo vetrato dell'Enoteca di Via Roma 21, sabato 4 luglio alle 18 (ingresso libero, prenotazioni e informazioni al 3484238334). 

A dialogare con lui nell'incontro organizzato dall'Associazione degli Amici del Castrum, ci sarà il professor Fabio Girardello.

Un libro dal sottotitolo “Il Novecento qui da noi”, dove il “noi” sono il Veneto e il Friuli, diversi nella loro identità, sociale e territoriale, ma così simili nel loro agire e reagire, accomunati da un destino e fusi in un artificio letterario che Santarossa si è divertito a creare.

“Ho voluto raccontare la storia del secolo scorso partendo da una cittadina, Paesenovo, che non si trova se andiamo a controllare su Google Map, ma che ritroviamo ovunque se alziamo gli occhi dal cellulare e usciamo di casa, perché è tutto ciò che esiste attorno a noi” inizia a raccontare lo scrittore. A Paesenovo, nome inventato, il tempo è piovoso come nella Carnia, c'è una laguna come quella veneta, è situato tra fiumi che solcano una campagna e vede il mare.

“Ho voluto racchiudere in un paese il paesaggio di due regioni e concentrarci lo spirito dei loro sei milioni di abitanti. Avevo voglia di raccontare i veneti e i friulani, le loro traversie del secolo scorso, dagli inizi del Novecento fino ai giorni nostri, scavalcando gli anni Duemila. Ho DO-VU-TO pensare molto per scrivere questo libro - scandisce Santarossa – perché ho riempito pagine su queste due regioni. Perché se è vero che i friulani sono orgogliosi del loro essere un popolo tenace, i veneti li considerano un'appendice di quello che fu il loro dominio. Ma io vivo a Villanova di Pordenone, il capoluogo che parla veneto ed è visto come confine tra due regioni. La mia schiena è rivolta al Friuli e gli occhi al Veneto. E questo stare a metà, mi ha agevolato in questa storia matta.

“Pane e ferro” è un romanzo che narra la storia di Enea, un nome non a caso quello preso all'eroe troiano, che in fuga dalla città in fiamme si carica sulle spalle il vecchio padre Anchise, il passato e il vissuto, e per mano il figlioletto Ascanio, il futuro della sua gente. L'Enea di Santarossa dunque, è un cittadino di Paesenovo che nasce nel 1955 e raccoglie le testimonianze di vita del padre e del nonno, dalla Grande Guerra e la rotta di Caporetto, per poi vivere la sua di vita che si svolge tra i grandi eventi che hanno colpito il Nordest, come il disastro della diga del Vajont e il terremoto del Friuli nel 1976, una lunga cavalcata fino agli anni Duemila e oltre. Nella narrazione gli avvenimenti storici servono a scandire l'evoluzione della storia sociale, come quella della migrazione friulana o dell'industrializzazione che sconvolge il paesaggio dove si innesta la storia di Enea.

“Insomma, partire da un microcosmo per raccontare di “noi” e la nostra storia, vedere cosa c'è dietro, conoscere le persone” spiega meglio Santarossa, che prima di dedicarsi alla scrittura ha speso sette anni a fare l'operaio in una fabbrica di materie plastiche. Per scrivere “Pane e Ferro” ha impiegato tre anni. “L'idea di questo libro mi è venuta dopo aver raccontato per quindici anni l'antropologia, il sociale, l'industrializzazione del Nordest negli anni '80 e '90. Mi ero chiesto se era il caso di smettere di scrivere. E invece lo sguardo si è posato sulle nostre radici, per capire chi eravamo e cosa siamo ora”.

Le storie del romanzo, che compongono la storia nella Storia, ripropongono dei modelli che sono un classico della letteratura italiana. C'è un prete estremamente democristiano e un ultra comunista che adora Tito. Il pensiero non può che rimandare a Don Camillo e Peppone di Giovannino Guareschi, così novecenteschi, così attuali. Ci sono squarci di provincia che riprendono le reminiscenze oniriche dell'Amarcord di Federico Fellini e il mondo contadino di Pier Paolo Pasolini.

Santarossa respinge imbarazzato l'azzardo del paragone di “Pane e Ferro” con quel monumentale affresco che è stato il “Novecento” cinematografico di Bernardo Bertolucci, citato da diversi critici letterari, tanto da farne del suo il “miglior libro pubblicato nel 2019”. “Gli storici mi danno del matto. Ma il mio intento non era quello di raccontare la Storia, ma narrare questo popolo, le sue storie, scandendone i tempi con gli avvenimenti. Un lusso che solo la letteratura si può concedere per parlare di uomini, donne e bambini, quelli dimenticati”.

Massimiliano Santarossa nasce a Pordenone nel 1974. Esordisce nel 2007 con “Storie dal fondo” a cui fa seguire “Gioventù d'asfalto” nel 2009. “Pane e Ferro” è la sua nona fatica. Ha scritto brani per antologie, sceneggiature, reportage per quotidiani. Cura con il fratello la casa editrice “Biblioteca dell'Immagine”. 

Pane e Ferro” (Biblioteca dell'immagine), 2019, collana Inchiostro, pp. 360 in brossura, € 15,00.

 


| modificato il:

Lieta Zanatta

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