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17 luglio 2024

Treviso

Aliceful: a tu per tu con l’influencer trevigiana della sostenibilità

Una carriera divisa tra i social e la formazione diretta alle persone quella di Alice Pomiato, nata nel 1991 a Caerano di San Marco

| Leonardo Beraldo |

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Alice Pomiato, influencer e formatrice

TREVISO – Nella pagina Instagram voleva inizialmente condividere le sue esperienze di viaggio in giro per il mondo. Poi Alice Pomiato, nata nel 1991 a Caerano di San Marco, approfondisce il tema della sostenibilità e nasce aliceful, uno spazio di divulgazione sugli aspetti in ombra di una materia tanto complessa quanto attuale. I riscontri non tardano ad arrivare: la pagina cresce e da qui nascono nuovi lavori ed opportunità, come la formazione diretta del personale in diverse realtà.

Alice, in cosa consiste il tuo ruolo di formatrice?

Organizzo dei veri e propri corsi per scuole, enti e aziende, lavorando sulle persone che li compongono e non sui processi interni. Si concordano i moduli -alimentazione sostenibile, moda, etc.- da affrontare assieme. Mantengo un approccio sistemico, così le persone acquisiscono maggiore consapevolezza e l’azienda garantisce all’organico delle conoscenze a 360° e applicabili nell’azienda stessa. Oggi molte imprese abbracciano la bandiera della sostenibilità, ma come fanno ad abbracciarla se chi ne fa parte non sa davvero cos’è?

Quindi ti rivolgi più alle persone che ai dipendenti.

Esattamente. Diciamo che cerco di partire dalla base: se una persona è più formata cercherà, in ogni ambito della sua vita, di applicare le conoscenze e di trovare soluzioni adatte. Anche nel lavoro.

Quali sono le difficoltà maggiori che incontri come formatrice?

Manca molta consapevolezza. Per fare un esempio banale, se una maglia costa solo cinque euro - l’equivalente di un cono gelato- significa che c’è qualcosa che non va. Si stanno sicuramente coltivando le materie prime in modo non sostenibile, sfruttando la mano d’opera nei paesi in via di sviluppo. Provo a spiegare cosa c’è dietro a tutto quello che acquistiamo. E do delle prospettive diverse: per esempio, anziché comprare dieci maglie di bassa qualità, possiamo comprarne cinque di alta qualità che dureranno di più. I nostri stili di vita sono troppo opulenti e non ce ne rendiamo conto. C’è bisogno di partire dalla consapevolezza individuale per sviluppare quella collettiva.

Un altro tema caldo è quello degli allevamenti intensivi e dei prodotti animali. Come reagiscono le persone quando si tocca loro la dieta?

Anche qui la grande paura di rinunciare alla carne in tavola è legata al modello di vita opulento. Pensiamo sia normale mangiare così tanta carne ma non è vero: ai tempi dei nostri nonni se ne consumava molta di meno. Ad oggi il settanta percento della superficie agricola europea è destinata al foraggio per gli allevamenti…destiniamo la stragrande maggioranza delle risorse a nutrire animali di cui a nostra volta ci nutriremo. Il più grande spreco ambientale. L’Italia è il paese più ricco di biodiversità in Europa, e proprio noi non dovremmo avere difficoltà a dedicare parte degli sforzi alla coltivazione di cereali o frumento, ai sostituivi in genere dei nutrienti animali. Basterebbe credere alle alternative, perché ce ne sono ed è mio compito illustrarle.

Per quanto riguarda Treviso, cosa credi manchi nel territorio in termini di sostenibilità?

Innanzitutto, gli spazi pubblici. Creandone ci si aprirebbe al confronto, e si svilupperebbero nuove iniziative come –ne sono stati aperti molti in altre città- i laboratori di riuso, dove si possono acquistare o noleggiare o riparare i prodotti. Una seconda mancanza è una valida offerta vegetale dei ristoranti: ogni volta sembra un’impresa dover ordinare un piatto senza carne o derivati animali. Infine, c’è un’attenzione davvero misera per il CRAS, il centro recupero animali selvatici, che è tenuto in piedi strenuamente e dai soli volontari.
 

 


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