I cent'anni del Partito Popolare Italiano
Con l'immagine leopardiana della poesia “La quiete dopo la tempesta”, oggi si celebra il centenario di un evento storico per l’Italia ossia la pubblicazione dell'appello e del programma del P. P. I., noto con il suo incipit: "A tutti gli uomini liberi e forti". Nacque così il Partito Popolare Italiano, promosso da don Luigi Sturzo e da un gruppo, che rappresentava esponenti cattolici, deputati al parlamento, amministratori provinciali e comunali, organizzatori di sindacati e di cooperative, riuniti a Roma tra la fine di novembre e la metà di dicembre del 1918. L' Assemblea dei promotori nominò Sturzo segretario politico e una commissione provvisoria, che approvò il testo del programma e dell'appello, resi pubblici il 18 gennaio 1919.
La quiete arrivava al termine della Grande guerra, mentre i belligeranti preparavano la pace a Parigi. L'obiettivo principale doveva consistere nel "trovare il reale equilibrio dei diritti nazionali con i supremi interessi internazionali e le perenni ragioni del pacifico progresso della società”.
Nella seconda parte venivano annunciate le direttrici di marcia per lo sviluppo del Paese: a) ad uno stato accentratore, tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno Stato veramente popolare che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei degli organismi naturali, che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private; b) domandiamo la riforma dell'istituto parlamentare sulla base della rappresentanza proporzionale, non escluso il voto alle donne e il Senato elettivo; c) invochiamo il riconoscimento giuridico delle classi, autonomia comunale, la riforma degli enti provinciali, più largo decentramento delle unità regionali.
Venivano quindi proposte le varie libertà, che dovevano favorire la maturità civile del popolo e il più alto sviluppo delle sue energie: libertà religiosa, libertà d'insegnamento, libertà alle organizzazioni di classe, libertà comunale e locale. Quindi venivano sottolineate "le necessarie urgenti riforme nel campo della previdenza e della assistenza sociale, nella legislazione del lavoro, nella formazione e tutela della piccola proprietà, devono tendere alla elevazione delle classi lavoratrici; Ci presentiamo nella vita politica con la nostra bandiera morale e sociale, ispirandoci ai saldi principi del cristianesimo, che consacrò la grande missione civilizzatrice dell'Italia; missione che anche oggi nel nuovo assetto dei popoli deve rifulgere di fronte ai tentativi di nuovi imperialismo, di fronte a sconvolgimenti anarchici di grandi imperi caduti, di fronte a democrazie socialiste che tentano la materializzazione di ogni idealità, di fronte a vecchi liberalismi settari che, nella forza dell'organismo statale centralizzato, resistono alle nuove correnti affrancatrici”.
Il centenario dell'appello di don Luigi Sturzo " Ai liberi e forti " del 18 gennaio 1919 rappresenta un'occasione per favorire un dibattito sul tema di fondo dei rapporti tra cattolici e politica oggi In Italia. In questo contesto il quotidiano OggiTreviso ha chiesto ad alcuni cattolici trevigiani le loro opinioni nel merito su questa traccia:
1) A 100 anni dall'appello di Sturzo quali sono gli aspetti che continuano ad essere maggiormente significativi nell'attuale panorama politico del Paese? 2) Come valuti le opzioni dei cattolici italiani alle elezioni politiche del 4 marzo 2018?
3) Quali sono i maestri dei cattolici, oggi?
4) È tramontata definitivamente l'opzione secondo cui i cattolici potevano/dovevano privilegiare qualche formazione politica?
5) È irreversibile la diaspora dei cattolici in Italia?
6) Ad libitum
Ecco le risposte di Umberto De Conto, membro del Consiglio Pastorale della Diocesi di Treviso e di don Alessio Magoga, direttore del settimanale diocesano L’Azione di Vittorio Veneto.
Le risposte di Umberto De Conto
2) Mi sembrano almeno quattro gli aspetti dell’appello Ai Liberi e Forti che ancora oggi meritano di essere ricordati e valorizzati: - Il richiamo ad un impegno comune motivato non da una rivendicazione o dal desiderio di imporre un sistema di potere, ma piuttosto dal richiamo alla necessità di cooperare per il bene comune (in un’accezione che solo con il Concilio Vaticano II avremmo compreso) e sulla base di un’istanza profondamente etica - La sussidiarietà, cioè l’opzione fondamentale di portare i luoghi della gestione il più possibile vicino ai cittadini. Di qui l’attenzione alla dimensione provinciale e regionale, ma anche la valorizzazione di quelli che oggi chiamiamo i corpi intermedi e le organizzazioni rappresentative non statali - La moderazione, percepibile già nell’incipit quando si rivolge a uomini aperti agli altri e solidi in sé, quindi capaci di equilibrare istanze e opzioni, con la moderazione derivante dal fondamento caritativo dell’agire politico (Paolo VI ce lo ripresenterà sessant’anni dopo ...) - La libertà senza libertarismi, che trova il suo limite nella percezione del diritto altrui
3) Credo che le opzioni di partito scelte dai cattolici alle ultime elezioni dipendano in parte dalla deriva populista in cui versa la politica italiana negli ultimi quindici anni, in parte dal riemergere di un’esigenza di “ordine” istituzionale che stabilizzi per qualche tempo il marasma riformista mai concluso; in parte ancora dalla “personificazione” dei partiti e forse dal desiderio di delegare a qualche faccia nota la propria rappresentanza. Su tutto però credo influisca in modo pesante la scarsa cultura politica ormai diffusa e il limitato “tirocinio” democratico sperimentabile oggi per la maggior parte dei cittadini
4) Dividerei i cattolici in fasce anagrafiche più che culturali: per i sessantenni richiamerei Moro, Dossetti, Lazzati; per i cinquantenni credo possiamo dire del Concilio e Paolo VI; al di sotto dei quarant’anni credo si trovino nell’imbarazzo ... perché non c’è chi scegliere. 5) Non credo riproponibile un “partito dei cattolici” perché la forma partito stessa è difficilmente riproponibile. Il problema oggi è individuare nuove forme di aggregazione, nuovi modi di coagulazione del consenso, nuove scuole di vita democratica, nuove forme di educazione politica, nuovi modi di relazionare delegato e delegante, nuove forme di partecipazione ... . Ed intendo nuovo non come “nuovismo” (qualsiasi cose purché diversa dalla precedente), ma come riformulazione, il più possibile concertata, delle forme storiche della democrazia.
6) Sicuramente permarrà la diaspora fisica, ma si troveranno nuovi canali di cooperazione e azione comune. Il modo sarà determinato dalla cultura che sapremo rivitalizzare; e se cultura è “il sedimento del sentire condiviso” credo che oggi dovremo trovare tempi e modi della sedimentazione, prima di pensare al sentire condiviso.
7) In questi mesi ho sentito richiamare il centenario del manifesto sturziano in almeno quattro ambienti diversi; ebbene nessuno si sta muovendo, a dimostrazione da una parte di stanchezza operativa, dall’altra di frammentazione, isolamento e debolezza strutturale. Ma ci sono molte braci ancora vive sotto la cenere; bisogna soffiare, con delicatezza, perché si ravvivino.
Ecco le risposte di don Alessio Magoga:
1) L’appello di Sturzo presenta, come è ovvio, degli aspetti fortemente legati al tempo in cui fu scritto, all’indomani della fine della Prima Guerra mondiale. Però, alcuni aspetti mantengono un inalterato valore, se non una bruciante attualità. Innanzi tutto, quello di Sturzo è un appello per la giustizia, per la libertà e – con particolare enfasi – per la pace, quanto mai urgenti anche per il mondo e per la società italiana di oggi. Sturzo poi insiste su una visione della politica che cerca l’equilibrio tra i “diritti delle singole nazioni” e gli “interessi internazionali”, cioè - per dirla un po’ brutalmente con i termini di oggi - un equilibrio tra le istanze più serie del sovranismo e del globalismo. Nel suo appello, però, si scorge una profonda fiducia nella nascente “Società delle Nazioni” (l’attuale ONU): una fiducia che anche noi oggi dovremmo recuperare nei confronti delle istituzioni di carattere sovranazionale e internazionale. Infine, l’appello di Sturzo è animato da una fiducia profonda nelle capacità degli uomini (e dei cattolici, in particolare) di attuare i cambiamenti necessari alla società italiana: anche questo senso di speranza e di fiducia nel futuro, nella politica e nell’uomo sono – a mio avviso – di grande attualità e quanti vogliono impegnarsi in politica sono chiamati a farle proprie.
2) Si tenga presente che ci troviamo in un contesto di crescente secolarizzazione, che rischia di accentuare la marginalità di chi si identifica con il cattolicesimo. Detto questo, penso che i cattolici, oggi, non si differenzino molto dagli altri elettori e votino secondo il sentire comune, spesso dettato dalle emozioni del momento. Il voto del 4 marzo, che ha sancito la vittoria di due partiti "di protesta" (Lega e M5S), dice che è esigenza diffusa quella di un rinnovamento profondo della politica e questa esigenza è sentita in modo molto forte anche dai cattolici. Come si stia portando avanti questo rinnovamento, vedremo presto se è ciò che un cattolico si aspetterebbe.
3) Credo sia necessario guardare in due direzioni: al passato e al presente. Ci sono grandi "maestri" del passato che possono trasmetterci quelle intuizioni di fondo, sempre valide nei momenti di grande trasformazione. Penso a don Luigi Sturzo, al beato Giuseppe Toniolo, Alcide De Gasperi, Aldo Moro, Giorgio La Pira... Figure di alto profilo morale, innamorate del bene comune e ispirate da una logica di servizio al Paese e da una prospettiva a lungo termine. Da questi "maestri" può venirci la spinta a riscoprire alcuni valori (cristiani) e uno stile con cui fare politica. L'altra direzione in cui guardare è quella del presente: penso a quanti oggi, affrontando i problemi attuali, sono in grado di abitare le sfide con proposte di valore e con creatività. Ci sono esempi positivi in tutti gli schieramenti politici. Mi riferisco soprattutto ai sindaci e agli amministratori locali, che sono a diretto contatto con la gente e con i suoi problemi. Non a caso sono proprio alcuni sindaci ad emergere in questo tempo come portatori di una "politica di valore". E non intendo generalizzare, come se tutto il resto della politica fosse una giungla di carrieristi: non è così! Voglio solo dire che oggi si stagliano come figure positive quelle di quei politici che sanno “stare” nel proprio territorio, ne interpretano le domande e i bisogni e sanno curare le relazioni con la propria gente.
4) Ogni tanto si sentono, qua e là, ipotesi di ricostituzione di un “partito dei cattolici”. Vi sono anche delle esperienze concrete in questa direzione: penso al “Popolo della famiglia”. E in Germania esiste un importante partito di ispirazione cristiana, la CDU della Merkel, che continua la sua navigazione pluridecennale. Tuttavia, mi sembra che sia un progetto ormai impraticabile, dopo che la DC è naufragata in un modo così eclatante agli inizi degli anni ‘90. Più che far rinascere un "partito dei cattolici", oggi pare necessario favorire l’impegno dei "cattolici in politica", vale a dire far sì che le nostre comunità cristiane e le nostre associazioni cattoliche siano di nuovo capaci di generare dei cristiani formati e capaci di fare politica, con solidi valori come punti di riferimento del loro pensare e del loro agire.
5) Più che ragionare in termini di “diaspora”, ragionerei in termini di “presenza significativa”. Nel vangelo si parla dei cristiani come di lievito: così dovrebbero essere anche i cattolici in politica. Perciò non è questione di consistenza numerica o di compattezza, ma di qualità del proprio fare e del proprio essere. Secondo me, il problema non è tanto che non ci sia più un partito unitario dei cattolici, quanto il fatto che i cattolici non sentano la politica come un'esigenza e un appello che nascono dal Vangelo. Per don Luigi Sturzo, iniziatore del Partito Popolare, la fondazione di quel partito era un'urgenza che veniva dal suo essere prete e dalla propria fede cristiana. L’impegno politico, per un cristiano, dovrebbe essere una conseguenza quasi ovvia e scontata della propria fede. Oggi invece manca proprio questo, perché rischiamo di chiuderci (cattolici e non) in forme di individualismo o di disimpegno e di considerare la politica come un “male”, dal quale stare lontano, anziché “il più alto servizio della carità”.