Intervista al vescovo di Treviso: "Non c'è nulla che giustifichi questa guerra in Ucraina"
Le preoccupazioni sulla scena internazionale, il cammino e le sfide della chiesa trevigiana, la lunga convalescenza dopo l'operazione al ginocchio: OggiTreviso ha incontrato mons.Tomasi
TREVISO - La Quaresima, che inizia oggi, può dire - volendo - di averla già fatta: una caduta a Lorenzago di Cadore a metà luglio lo ha costretto immobile a letto per un mese e mezzo. Altrettanto tempo gli è stato necessario “per reimparare a camminare”. Cosa che gli ha permesso di “compatire” in modo autentico chi su un letto è costretto dalla malattia - “pensando ai quali non riesco a non commuovermi” - o è inibito negli spostamenti per via delle barriere architettoniche: “Bisogna provare per credere cosa significa non riuscire a salire un gradino”.
Mons. Michele Tomasi ci accoglie con il sorriso al quale ci ha abituati sulla soglia del suo studio, al secondo piano dell’episcopio. La preoccupazione per il momento che l’Europa e il mondo stanno vivendo però non manca. Si dice sgomento: “Un fatto umano insensato; non c’è nulla che giustifica questa guerra. Ho scritto alla comunità greco cattolica ucraina e a tutti gli ucraini e le ucraine presenti nel territorio della nostra diocesi: oggi mercoledì delle Ceneri pregheremo per loro”.
La Chiesa può tentare ancora una mediazione?
Il Vangelo è un annuncio di disarmo della coscienza. Popoli che si dicono cristiani non possono ricorrere alla guerra. Il male è già stato vinto sulla Croce. C’è bisogno di impegno personale.
Da poco più di due anni a Treviso, parte di tempo in lockdown: ha fatto in tempo ad ambientarsi almeno un po’?
Ho una grazia: mi sento arrivato a casa. Percepisco di essere parte integrante di questa comunità. Sono con e la Chiesa di Treviso.
Ma un pizzico di nostalgia per la sua terra non lo prova?
Sono un altoatesino, è quella la terra delle origini e degli affetti. Se per nostalgia si intende desiderare di trascorrere del tempo lassù, allora non posso definirmi nostalgico.
Iniziare un episcopato in pandemia non deve essere stata una passeggiata…
Ho dovuto fare delle scelte certamente dettate dai ritmi e condizionate dalle modalità del tempo che siamo stati costretti a vivere: la scelta dei vicari generale e per il clero in seguito alla nomina, poco dopo il mio arrivo, di mons. Cevolotto vescovo di Piacenza e altre decisioni che ho dovuto prendere e che non avrei compiuto così velocemente.
E della Chiesa che è in Treviso che idea si è fatto?
Una diocesi ricca, vitale e radicata. Clero anagraficamente eterogeneo. Laicato organizzato. Intraprendenza e gusto per il fare, com’è da tradizione per questa terra del cooperativismo del card. Pavan e di Toniolo.
Forse con il Covid un po’ meno…
Alcune attività hanno subito una battuta d’arresto. Ora si tratta non di fare meno ma di fare altrimenti. Come un fiume di risorgiva: ha bisogno di ritornare.
“Sta a noi” è il fondo di solidarietà che ha voluto istituire per l’emergenza sanitaria: 694.107 gli euro stanziati, di cui 415.102 quelli sinora erogati. 255 i contatti avuti con famiglie e singoli in difficoltà.
Per la comunità è stato un prendere coscienza di se stessa e dei suoi bisogni, grazie ai rapporti di vicinato e a Caritas, enti pubblici, associazioni di categoria e famiglie sentinella. Ora, con la crisi del gas, molti parroci mi stanno inviando ulteriori richieste di aiuto.
Sul piano pastorale, invece, come sta evolvendo il cammino sinodale voluto dal Papa nelle diocesi?
È un percorso che, permettendoci di prestare maggiore ascolto a quello che ci dice il Vangelo in questo tempo, consoliderà il nostro senso e il nostro essere comunità.
Nota dolente: giovani nelle chiese se ne vedono sempre meno. Questa cosa la preoccupa?
Certo che sì. Mi piacerebbe che venissero a Messa volentieri, non a tutti i costi però: il Vangelo è l’incontro con una Persona viva.
L’allontanamento dei giovani allora a cosa è dovuto?
Non disponiamo di canali per dire ai giovani che ci interessa sapere come stanno e per imparare la loro lingua: non è colpa loro se non riusciamo a trasmettere la fede. Spesso ci chiedono cose che non riusciamo a capire e certe prese di posizione sono in realtà delle domande.
In una recente intervista al nostro giornale, il parroco della Cattedrale don Riccoboni ha assicurato l’attenzione della diocesi di Treviso verso le persone omosessuali.
Parliamo di fratelli e sorelle con dignità e diritti. Penso non sia prioritario costruire settori particolari, rischiando di definire categorie piuttosto che incontrare persone. Occorrono sicuramente presbiteri preparati che possano affiancarsi alle persone omosessuali credenti. Ferma restando la condanna dell’omofobia e della violenza, credo sia necessario un dialogo franco e sereno. C’è ancora molta paura in questo campo.