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24 aprile 2024

Valdobbiadene Pieve di Soligo

L'artista incisore Livio Ceschin, originario di Pieve, si racconta

Una tecnica immutata in oltre 600 anni che insegna a rallentare

| Tiziana Benincà |

immagine dell'autore

| Tiziana Benincà |

Livio Ceschin incisore

PIEVE DI SOLIGO - “L’importante è vedere in modo eccezionale, non cercare le cose eccezionali.” esorta così Livio Ceschin, anno 1962 che per lavoro fa l’artista, più precisamente l’incisore.

“Il pericolo, soprattutto per gli artisti, è ripetersi, avere sempre la stessa visione perché si dà sempre lo stesso valore alle cose. Bisogna invece imparare a rinnovarsi con uno sguardo sempre nuovo.”

Livio Ceschin è originario di Pieve di Soligo e come Zanzotto si definisce “imbullonato al suo territorio”.

L’incisione è un processo molto complesso che inizia con il disegno “Il primo avvicinamento è il disegno, un atto ben preciso ed importante. In quel momento mi rendo conto di quello che ho di fronte, entro in uno spazio dove molte cose si mimetizzano, perché magari si tratta di un luogo conosciuto, eppure ci sono, ma non si vedono. Ci dev’essere questo tempo per entrare in un luogo ed abituare i nostri occhi e la nostra mente. Solo allora si riesce a rallentare la visione per cogliere quelle parti nascoste e da lì nascono cose a cui non avevi mai pensato. Solo in questo modo aumenta il disponibile quotidiano e la quantità di stimoli”.

La seconda fase invece è caratterizzata dall’incisione e qui emerge la bravura e la padronanza della tecnica dell’artista e Livio Ceschin definisce le sue opere “di esperienza e non di sapienza”, vista la sua capacità di utilizzare sia l’acquaforte che la punta secca, un linguaggio rimasto inalterato nel tempo dal 1400.

Si tratta di un processo complesso: sopra una lastra di rame viene posto uno strato di cera su cui si riporta il disegno in modo speculare. Si parte dai colori più scuri, per cui la lastra viene incisa pensando ai segni più marcati e viene poi immersa in un mordente salino che la corrode. L’operazione viene ripetuta più volte fino ad arrivare ai segni più leggeri che risultano essere quasi in superficie: si riesce così ad ottenere una matrice. Per ottenere un forte contrasto tra chiari e scuri si arriva anche a 28/30 bagni nell’acido, mentre per realizzare una matrice si possono raggiungere i sei mesi come tre anni. Ogni immersione ha una diversa durata, secondo il risultato che ci si prefigge: da tre secondi a un’ora e venti.

“Ho sempre amato disegnare” continua l’artista “la matita era il mio elemento magico. Copiavo fumetti e volevo vedere fin dove sarei arrivato. Per i primi tre anni in cui ho iniziato a lavorare copiavo i lavori dei grandi artisti, per capire come utilizzassero la luce, la loro sensibilità. Solo attraverso la copiatura ho maturato un bagaglio culturale ed ho imparato molto dai miei sbagli.
Noi corriamo troppo e invece c’è un ritmo del tempo che va rispettato, perché certe cose altrimenti non si capiscono. Io guardo sempre le cose con la coda dell’occhio, mai frontalmente, perché altrimenti certi dettagli sfuggono.”

Per coloro che volessero ammirare alcune delle sue opere, l’11 settembre a Pieve di Soligo presso Villa Brandolini partirà la mostra “Dimore di luce e vento”, con la proiezione di un docufilm sulle sue opere, un elogio al paesaggio che ha maggiormente stimolato l’artista nei luoghi che l’hanno ispirato.

 


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Tiziana Benincà

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