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14 gennaio 2025

Valdobbiadene Pieve di Soligo

Mutande sì, pantaloni no

Le difficoltà dei negozi di abbigliamento dei piccoli paesi

| Tiziana Benincà |

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| Tiziana Benincà |

crisi per i negozi di abbigliamento chiusi

PIEVE DI SOLIGO - Una situazione triste, difficile, complicata, quella dei negozi di abbigliamento e calzature dei nostri piccoli paesi. Una delle poche categorie a rimanere chiusa, anche se in realtà la vendita è controllata e sanificata, nell’interesse della salute generale.

“Purtroppo il nostro è un settore che va pensato 8/9 mesi prima per l’approvvigionamento e si tratta di un prodotto stagionale; c’è il serio rischio di saltare la stagione della primavera” commenta Denis Casagrande, titolare dell’azienda Stimm. “Da oltre un anno questa situazione ha intaccato tutta la filiera a partire dai piccoli laboratori e rischiamo di perdere artigianalità e offerta di negozi.”

Una previsione che purtroppo è già realtà, basti pensare al negozio Ferracin, che dopo 38 anni si è visto costretto a decidere per la chiusura a Treviso, nonostante una clientela storica, ma con dei costi da sostenere troppo elevati per il periodo che viviamo.

I reparti di abbigliamento sportivo, intimo e del bambino rimangono aperti, ma i negozianti vedono che a volte la gente è disorientata da queste differenziazioni.

Le occasioni di sfoggiare un vestito nuovo si sono quasi azzerate con la chiusura di locali e la mancanza di cerimonie, quindi anche la vendita di abbigliamento ne ha risentito in maniera importante.

“Purtroppo, le nostre realtà in paesi piccoli hanno un bacino di utenza che non può stare in piedi solo con la clientela comunale. Prima avevamo clienti anche da Belluno, perfino dal Trentino.” commenta Cristina Lucchetta, titolare dell’azienda omonima.

Certo poter contare solo sui residenti non è lo stesso se ci si trova a Roma o in un paese come Pieve di Soligo, ma attualmente la dimensione di un centro abitato non viene considerata e le regole da seguire sono le stesse indipendentemente da dove si trova il negozio.

Permettere anche ai residenti di comuni con 15-20.000 abitanti di spostarsi nel raggio di 30 km potrebbe aiutare, ma di base un’analisi analitica dell’offerta risulta necessaria per la sopravvivenza dei nostri centri.

 



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Tiziana Benincà

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