77° anniversario del Rastrellamento del Grappa: una ferita ancora aperta
Domani mattina la cerimonia a Cima Grappa e a Campocroce, con la sfilata dalla Chiesetta di Pio X al Monumento dei Caduti dedicato a Lodovico Tedesco
CIMA GRAPPA - Si commemora domani il 77° anniversario del Rastrellamento del Grappa, una pagina di storia ancora aperta. La cerimonia avrà due momenti, uno a Cima Grappa alle 10 e il secondo a Campocroce alle 10.45, con la sfilata dalla Chiesetta di Pio X al Monumento dei Caduti dedicato a Lodovico Tedesco, per poi concludersi con la messa alle 11.30. Sono coinvolti i paesi della Valbrenta e del versante sud del massiccio, che hanno pagato più a caro prezzo la follia di quei pochi giorni del settembre del '44, dal 20 al 24, quando centinaia di giovani vennero chiusi nella morsa, con la tattica militare dell'incudine e il martello che i tedeschi ben conoscevano e applicavano. Tra Brenta e Piave, la via di fuga, poteva essere solo la discesa a valle. Il rastrellamento del Grappa consegna alla storia almeno 500 vittime, su un migliaio di priglionieri. Molti vennero fucilati sul posto al momento, senza processo, o impiccati e molti altri, come Lorenzo Basso di Paderno del Grappa morto lo scorso gennaio, deportati in Germania, con condizioni di vita ben più dure degli internati.
Spesso giovanissimi, anche 16enni: nel numero dei rastrellati non mancano gli alleati e varie nazionalità, come il tenente sudafricano Hilary Ohare, molti meridionali, i cui corpi non vennero per molto tempo rinosciuti o reclamati perchè i parenti troppo lontani, e anche i carabinieri, compreso il tenente Luigi Giarnieri e molti dei suoi uomini, che rappresentano forse la parte più controversa della ferocia fascista e nazista perchè cerniera tra la fedeltà allo stato Stato e la posizione di Mussolini. "Quando lo presero, disse che lui aveva giurato al re e questo era l'unico giuramento valido per lo Stato: fu fucilato sul posto. La pedemontana e il Grappa sono pieni di lapidi e cippi, da Campo Solagna a Pederobba" ricorda il professor Lorenzo Capovilla, che domani terrà l'orazione ufficiale "ai giovani oggi, quei nomi non dicono più nulla, molti non sanno neppure che ci sono queste lapidi: è necessario continuare a fare testimonianza. Oggi in pedemontana non è rimasto vivo nessun partigiano e la scuola, tranne rare eccezioni, non racconta questa pagina di storia perché troppo complessa."
Una pagina di storia che non è ancora chiusa: continua il lavoro certosino di ricostruire le identità di quei corpi mutilati e continua la terra a restituire corpi e testimonianze, nonostante il passare degli anni. Un ambito in cui ci sono continue scorperte: il professor Capovilla ci anticipa il recente recupero dell'identità del soldato ignoto impiccato al 7° albero di Viale dei martiri, a Bassano: non un cittadino bassanese, come si credeva, ma un cittadino di Riese Pio X e, una volta espetate le formalità burocratiche, l'identità sarà riconsegnata."Nel 2008 abbiamo identificato un criminale nazista: lo chiamammo a testimoniare e l'Espresso lo contattò. Purtroppo" racconta Capovilla "si uccise proprio il 26 settembre di quello stesso anno. Nessun bisogno di vendetta: volevamo solo conoscere cos'era successo e trovare i resposabili di quella tragedia, anche italiani."
"Fu una guerra civile." Contuinua Capovilla "Questi furono i fascisti: abbiamo foto in cui i soldati dissacrano i corpi impiccati, ci sputano sopra, li tirano per le gambe, oltraggiano i cadaveri, brindano e fanno festa sui corpi. Una pagina di storia molto dolorosa: molti hanno identificato i partigiani, come ladri, poi come comunisti o politici facinorosi, anche per l'amnistia di alcuni reati perchè fosse possibile ricucire le ferite, che ci fu finita la guerra. Posso dire che i partigiani erano giovani che si sono sacrificati per la nostra libertà, ragazzi di 16/17 anni che avevano bisogno di mangiare. Fino al 1948 chi ha subito danni aveva la possibilità di essere risarcito."
"lo dirò anche domani: chiunque parla oggi di dittatura e di dittatura sanitaria non ha studiato la storia" sottolinea con amarezza Capovilla, oltre ad essere una voce autorevole per le vicissitudini della sua famiglia, è stato per molti anni presidente dell'Istresco di Treviso. "Confondono la pandemia con la guerra, che è una situazione molto più complessa. Le scemppiaggini che si sentono, l'uso improprio dei simboli, come ad esempio quelli collegati ai campi di concentramento è una dissacrazione di chi è morto per noi. Una cosa è regoare la salute, altra cosa è reprimere la libertà, abolire il parlamento, eliminare i partiti, portare il paese ad una guerra che ha fatto milioni di morti. Questo è il fascismo. Ha sulla coscenza migliaia e migliaia di morti. Solo la campagna di Russia, pensiamo ad esempio con che scarpe li mandarono, ha avuto 90mila morti, gli uomini più validi e forti delle nostre pianure e vallate. Se queste persone, leggessero davvero i testi e le testimonianze e non si accontentassero di slogan e miti, sono sicuro che capirebbero che cosa è stato il fascismo."
FOTO di Gianni Desti