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17 luglio 2024

Treviso

Il PD post-primarie: Renzi, le riforme, il territorio

Intervista a Nicolò Rocco, segretario regionale dei Giovani Democratici e consigliere comunale a Treviso

| Davide Bellacicco |

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| Davide Bellacicco |

Il PD post-primarie: Renzi, le riforme, il territorio

TREVISO-Nel giorno delle primarie per l’elezione del segretario nazionale del Partito Democratico, quando ormai i dati dai seggi, pressoché definitivi, indicano la vittoria di Matteo Renzi, intervistiamo sul punto, e non solo, Nicolò Rocco, Segretario Regionale dei Giovani Democratici del Veneto e consigliere comunale nel capoluogo, giovane testimonianza di impegno politico.



Si discute molto del modello che il pd post primarie dovrà assumere. C’è chi preferirebbe un partito più leggero e meno “apparato”. È compatibile questa visione con una presenza sul territorio che appare sempre più imprescindibile per non essere etichettati “partito di palazzo”?



“Molto spesso si è detto che Renzi abbia un’idea di partito leggero e che, in quanto tale, non debba essere organizzato sul territorio. La visione di Renzi non è quella di un partito liquido, ma quella di un partito che rispecchi una società in continua evoluzione, quindi meno rigido ma che mantenga un forte radicamento”.



Renzi dice di voler sciogliere le correnti; molti sottolineano che egli stesso abbia sfruttato quel sistema per emergere. Fa bene? Le correnti del PD di fine 2013 sono un limite o una risorsa, creano solo conflitto o delimitano delle identità storiche?



“Storicamente le correnti avevano la finalità di provare a interpretare sfumature su alleanze o visioni della realtà. Ciascuna tendeva ad indirizzarsi verso diverse categorie sociali, cercando di intercettarne il consenso. Nel PD possono rivelarsi un limite: il PD è un partito ancora giovane e alla ricerca di una sua identità e le correnti in questa fase rischiano di essere strumento per perpetuare meccanismi propri di una politica del passato. Trovano la loro ragion d’essere in un partito che sappia valorizzare le differenze interne e che sappia creare spazi di confronto. L’importante è che alle correnti corrisponda capacità di sintesi di idee e non solo etichette utili a spartire poltrone”.



Dopo la vittoria di Matteo Renzi, uomo politico difficilmente collocabile secondo gli schemi ordinari, cresciuto nel PPI e nella Margherita ma appoggiato in modo decisamente trasversale, credi che sussista il pericolo che gli ex DS creino steccati identitari o ritieni che con Renzi il PD sia giunto al punto d’incontro spesso più o meno tacitamente inseguito dopo la fusione del 2007?



“È molto difficile da capire oggi. Mi auguro che il partito resti unito perché è frutto di una grande scommessa fatta insieme. Molto dipenderà dall’immediato futuro, a partire dalla riforma della legge elettorale. Dal momento in cui si definisce di non voler tornare indietro rispetto alla scelta del bipolarismo, si necessita di chiarezza: o si sta nel centro-destra, con tutta la sua storia, o nel centro-sinistra, dove il leader affermato è Matteo Renzi, che ha dimostrato di avere la capacità di costruire una leadership trasversale. Gli servirà la capacità di tenere unita una storia chiaramente minoritaria nella società ma senza la quale non possiamo concepire il centro-sinistra stesso. Sarà importante dare dignità alle varie sensibilità. La sua corrente più forte sono gli entusiasti, ma questi entusiasti devono confrontarsi con visioni diverse che dovranno stare assieme. Non ha senso parlare di scissioni a sinistra come non ha senso che Matteo Renzi abbandoni quella parte di partito”.



Europee 2014: tutti i candidati alle primarie nazionali più o meno esplicitamente parlano di adesione al Partito Socialista Europeo, la famiglia che fu del PDS prima e dei DS dopo, ma il dibattito è ancora molto aperto. Quale collocazione auspichi per il PD?



“Penso che sia il Partito Democratico a dover rivendicare la volontà di praticare un percorso alternativo. Ad oggi non aderiamo al PSE, con il quale pure manteniamo un legame positivo. La nostra collocazione europea e quella del gruppo S&D (Socialisti e Democratici) ed è stata una scommessa vinta dal PD nel 2009: non confluire semplicemente in un gruppo equivalente al PSE, ma allargare il campo ad altre forze che sappiano guardare alle prossime sfide dell’Europa. Se noi pensiamo a queste, non possiamo pensare di avere da una parte i conservatori che credono nella riduzione della spesa e ad una visione più liberale e dall’altra solo i socialdemocratici che pensano che la risposta stia tutta nell’aumento della spesa pubblica a favore di politiche per la crescita. Abbiamo bisogno di un equilibrio, quello che il PD ha sempre cercato di suggerire a livello nazionale con il concetto di una forza progressista che sappia guardare alle prossime sfide sapendo da una parte contenere i bilanci e dall’altra occuparsi di sociale. Credo che la vera sfida sia uscire da un recinto dicotomico”.



Politica nazionale e politica locale: a Roma le larghe intese (osteggiate da alcuni, ricercate da altri), l’ormai celeberrima decadenza, i 101 franchi tiratori che non appoggiarono l’elezione di Prodi, la controversa mancata elezione di Marini etc., tutte questioni di rilievo per gli addetti ai lavori ma percepite come tragicamente distanti dal territorio e dalle sue dinamiche quotidiane, un problema, a onor del vero, che abbastanza orizzontalmente tende a coinvolgere lo scenario politico italiano; da segretario regionale dei Giovani Democratici, quali priorità ti attendi che vengano affrontate per il 2014 dal PD veneto ma, restringendo ulteriormente il campo, anche dal PD trevigiano?



“Le priorità del territorio sono lavoro e sociale. Va detto che da molto tempo diciamo di voler affrontare queste tematiche ma per affrontarle occorre premettere le riforme istituzionali. Dobbiamo intervenire prima sulle modalità con cui il cittadino interloquisce con la politica. Mi citi i 101: per tre mesi abbiamo assistito ad un parlamento congelato che non riusciva ad eleggere un Presidente della Repubblica o a trovare una maggioranza di governo. Viviamo in una società nella quale una famiglia in una settimana può trovarsi senza reddito e una azienda può chiudere. Come possiamo permetterci una politica che non decide? A livello trevigiano stiamo riformando questo aspetto, puntando sul rapporto con il cittadino. A livello nazionale condivido la linea di Renzi di riformare il Senato. Esistono già buone proposte, da quelle relative al mercato del lavoro a quelle sulle coperture assistenziali. Si riescono a fare, però, solo se la politica ha la forza di poter decidere”.



Lancio una provocazione: perché i vertici di un’associazione quale è il Partito Democratico devono essere scelti anche da chi non vi aderisce? Insomma, perché le primarie aperte? E perché i 2€ per votare?



“I 2 € trovano una logica in un’ottica di autofinanziamento finalizzata a contribuire al mantenimento delle sedi, alla copertura dei costi delle primarie e anche a sopperire al taglio dei rimborsi elettorali. Il segretario viene scelto dagli iscritti per una precisa volontà: già nella selezione della classe dirigente che si suppone debba relazionarsi con l’elettorato, si chiede il consenso del cittadino che crede al progetto politico. Alle primarie della Lega hanno votato in diecimila, alle nostre in tre milioni: le primarie sono la nostra forza. Sono un esercizio di democrazia di cui i partiti hanno grande bisogno”.



Una domanda più personale. Di recente sei stato eletto consigliere comunale a Treviso: è possibile per un giovane fare politica attiva sul territorio, impegnarsi nelle istituzioni e al contempo proseguire gli studi senza trascurarli?



“Non solo è possibile, ma è doveroso e necessario. Si dice che per fare politica nel modo giusto bisogna rivendicare l’indipendenza delle proprie scelte. L’indipendenza viene da un percorso personale fatto di lavoro, studio e sociale e che conduce a portare un bagaglio di competenze. Si può fare politica a tempo pieno, anche come professione, anche retribuiti, purché con professionalità. Sono probabilmente finiti i tempi dei funzionari di partito. Chi fa quella scelta fa una scelta assolutamente legittima, ma non so quanto questa sia perpetuabile nel tempo, visto che i modelli stanno cambiando”.



La presenza mediatica e la dialettica di Matteo Renzi sono spesso associate a doti di Silvio Berlusconi. Siamo al battesimo politico del Berlusconi del centro-sinistra?



“Non credo, perché la struttura in cui Matteo Renzi cresce è profondamente radicata. Berlusconi nasce politicamente con uno schema verticistico, laddove Renzi sta mettendo assieme esperienze di sindaci, amministratori locali, dirigenti di partito. La sua forza è quella di rappresentare un’idea di comunità e di tenerla in considerazione nelle sue scelte”.

 


 


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