PROFUGHI, LA CARITAS CHIEDE UNA SINERGIA TRA ENTI
Sono in arrivo 370 migranti. La Caritas di Treviso e di Vittorio ne ha accolti 40, ma non ha più strutture e chiede ai Comuni di fare la loro parte
| Laura Tuveri |
TREVISO - Emergenza profughi: la Caritas chiede la convocazione del tavolo provinciale dell’immigrazione e l’avvio di sinergie fra tutte le parti coinvolte nel fenomeno. Finora la Caritas di Treviso e di Vittorio Veneto hanno accolto 40 migranti e potrebbero accoglierne ancora altri venti, poi non avrebbe più strutture per farlo.
Si dice, tuttavia, disponibile a supportare con cibo, vestiario, corsi di italiano, sostegno psicologico tutti i Comuni che vorranno accogliere l’invito del prefetto Adinolfi ad ospitare nel proprio territorio i disperati migranti provenienti dalla Libia dove per la maggior parte si trovavano, giunti da altri paesi africani, per lavoro e da dove la guerra li ha cacciati.
Accoglienza reale, responsabilità, legalità, sicurezza: sono i capisaldi della posizione delle diocesi di Treviso e di Vittorio sul dramma dei profughi che sono giunti in Italia con sofferenze psicofisiche, senza documenti e senza prospettive per il futuro se qualcuno non si prende cura di loro con umanità e con un progetto ben preciso, cosa che mancherebbe, secondo quanto ha rilevato la Caritas. L’altro ieri, mercoledì 18 maggio, il prefetto di Treviso ha convocato i sindaci per sondare la loro disponibilità all’accoglienza.
Sono, infatti, in arrivo circa 370 profughi nella Marca, uno ogni duemila abitanti, ma molti sindaci, in primis tutti quelli del Carroccio, non sono disponibili all’accoglienza: per rimarcare la propria posizione hanno lascito la riunione. Ad oggi solo il sindaco di Silea, Silvano Piazza, si è detto disponibile anche ad accoglierne e anche di più di quanto richiesto e questo ad un anno dalle elezioni amministrative nel suo comune. Gli altri colleghi faranno sapere.
La sede della Caritas Tarvisina, a Treviso
La Caritas a Treviso ne ha accolti 14 e 25 a Vittorio Veneto, dove i primi arrivi, dapprima dalla Tunisia, sono iniziati i primi di aprile, mentre a Treviso nella prima decina di maggio. Quello che i direttori della Caritas di Treviso, don Davide Schiavon, e di Vittorio Veneto, mons. Ferruccio Sant, evidenziano è la mancanza di coordinamento e di governo del fenomeno. I due religiosi chiedono a tutti di fare la propria parte e, dopo aver definito tutti i paletti del caso, il rispetto della legalità in primis, fanno notare che siamo in presenza di un’emergenza umanitaria e che dev’essere affermare il valore della vita che va sempre custodita, al di la di posizioni partitiche.
Nessuno possedeva un censimento degli arrivi se non fosse stato per la buona volontà di don Davide che ha fatto la lista delle presenze facendola pervenire in prefettura. Era anche giunto in Caritas un minore che poi le forze dell’ordine hanno prelevato facndo perdere le tracce. Da altre Caritas venete giunge l’allarme tratta di minori e di donne.
La chiesa teme il rischio che sia messa in discussione la stessa cultura dell' accoglienza e che quindi prevalgano atteggiamenti e comportamenti di chiusura, di rifiuto, di xenofobia. Don Schiavon e mons. Sant chiedono anche che si faccia chiarezza sulle competenze e si faccia luce sulla diaria di mantenimento, da 40 a 46 euro al giorno per ogni profugo accolto, che il governo ha promesso a comuni o ai privati che si offriranno di dare ospitalità.
Per qualche famiglia potrebbe anche essere una buona occasione di arrotondare. La Caritas, con l’arrivo della bella stagione è certa che vi sarà una consistente ondata di nuovi sbarchi. Tesi corroborata anche dai racconti dei profughi ospitati. Se già ora la situazione è confusa, se già ora ci sono emergenze sanitarie da risolvere (questi migranti arrivano debilitati psicologicamente e alcuni anche feriti, senza documenti, senza identità) chissà cosa potrà accadere se qualcuno non siede, quanto prima, alla cabina di regia.
Da qui la richiesta di convocare il tavolo provinciale dell’immigrazione, richiesta formalmente avanzata dalla Caritas al prefetto che non ha ancora risposto. “Nella scelta umana, civile e cristiana dell'accoglienza, secondo lo spirito evangelico, abbiamo la sensazione di trovarci di fronte a una generale indifferenza e a poca disponibilità. Scarseggiano le stesse informazioni. Appaiono molto defilate le istituzioni, che danno l'impressione di muoversi a vista, senza una precisa volontà, un puntuale impegno, una operativa strategia. In questo contesto tutto si fa più problematico” hanno detto i due religiosi.
Da sin. don Davidie Schiavon e mons. Ferruccio Sant
“Come cristiani – afferma don Davide - non possiamo lasciarci condizionare dall'emotività, strada che conduce spesso all'ostilità verso i profughi e gli stranieri in generale. Dobbiamo promuovere e sostenere la cultura dell'accoglienza, educare all'accoglienza che deve andare pari passo e a coniugarsi con la necessità di sicurezza dei cittadini e della legalità”.
Mons. Ferruccio Sant precisa: “Siamo impegnati, oltre all'assistenza immediata, a far capire le sofferenze dei profughi e dei popoli da dove essi arrivano. Emergenza, carenza di risorse e difficoltà di sistemazione dei profughi fanno correre il pericolo di forme di intolleranza e possono compromettere la stessa convivenza civile e sociale. E' proprio in tali situazioni che si sperimentano carità e solidarietà. I cristiani sono chiamati ad accogliere ed a difendere la vita, non a rimpiangere, a rinnegare o, peggio, a lavarsi le mani, fingendo che la cosa non li riguardi”.
C'è la sensazione che non ci si renda conto di tanta emergenza. Si colgono intorno indifferenza e scarsa sensibilità. Si ha l'impressione che si voglia ridurre tutta la questione ai costi finanziari che l'accoglienza dei profughi comporta e che si cerca di ridurre al minimo. I profughi sono stati portati nel trevigiano, e, di fatto, “abbandonati”.
La Caritas evidenzia la mancanza di un progetto di inserimento a breve e lunga scadenza e la mancanza di impegno e di mezzi per ricostruire vite spezzate e di provvedimenti giuridici per ridare legittimità a chi l'ha perduta e non per causa propria. Don Schaivon e mons. Sant chiedono alle istituzioni un preciso impegno, al pari qi quello dato da loro e dai volontari chiedendo di non dimenticare che la tragica storia dei profughi di oggi è la stessa drammaticamente vissuta dagli emigrati trevigiani, veneti e italiani nella seconda metà dell'Ottocento, nel primo Novecento e negli anni Cinquanta del secolo scorso.
Da parte sua il prefetto si dice ottimista e invita anche i privati ad accoglierei profughi, che potrebbero anche essere ospitati in caserme dismesse purché idonee all’ospitalità. I direttori delle Caritas erano anche riusciti a trovare un albergatore di Conegliano disposto ad accoglierne una trentina, ma in assenza di certezze sulla diaria non se l’è più sentito di impegnarsi.