Referendum taglio dei parlamentari: quando e cosa si vota
Si vota il 20 e 21 settembre, non c'è quorum, l'esito sarà valido indipendentemente dal numero di votanti
| Isabella Loschi |
TREVISO - Il 20 e 21 settembre si vota, oltre che per le elezioni regionali e per l’elezione del sindaco in 5 comuni della Marca, per il referendum costituzionale, per decidere sulla riduzione o meno del numero dei parlamentari di Camera e Senato.
Trattandosi di un referendum costituzionale, non è previsto il quorum, non si richiede, cioè, che alla votazione partecipi la maggioranza degli aventi diritto al voto. L’esito è comunque valido.
Oggetto del referendum è la conferma della legge di revisione costituzionale che prevede il taglio di 345 poltrone in Parlamento, precisamente di 115 senatori e 230 deputati. La riduzione dei parlamentari passerebbe da 630 a 400 alla Camera, mentre da 315 a 200 al Senato (quota a cui bisogna aggiungere i senatori a vita).
Gli elettori sono chiamati ad esprimersi con un “sì” o con un “no” sulla modifica degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione. La legge di revisione costituzionale approvata lo scorso ottobre in Parlamento, è stata approvata in doppia lettura da entrambe le Camere a maggioranza assoluta. Dal momento che in seconda deliberazione la legge non è stata approvata a maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti di ciascuna camera, un quinto dei senatori ha potuto richiedere il referendum confermativo (come da comma 2 dell'articolo 138).
Se vince il “sì” il taglio dei parlamentari verrà confermato, mentre se vince il “no” resta l’assetto attualmente in vigore con 945 parlamentati.
L’obiettivo è duplice, spiega il dipartimento per le Riforme Istituzionali del governo: “da un lato favorire un miglioramento del processo decisionale delle Camere per renderle più capaci di rispondere alle esigenze dei cittadini e dall’altro ridurre il costo della politica”.
Ma quanto si risparmia? Il risparmio annuo per le casse dello Stato tra Camera e Senato, in base a quanto riporta il rispettivo bilancio nel triennio 2018-2002, sarebbe di 81,6 milioni di euro l’anno per le indennità di carica non più dovute. Una cifra che rappresenta lo 0,005% scarso del debito pubblico italiano (dati Agi).