Il riso in casa nostra
Breve storia del riso in terra veneta. Ecco l'autentica ricetta dei "Risi e bisi"
TREVISO - Fino a qualche tempo fa, risi e risotti arrivavano in tavola nelle nostre case e nei ristoranti molto più spesso della pasta e credo possa interessare quanti amano le cose di cucina, la storia vera, le vicende, i piatti, sapere quando il riso è arrivato a Venezia, a Treviso e nel Veneto.
Questa storia inizia nell’anno 1475 quando il duca di Milano Galeazzo Maria Sforza (1444-1476) donò a Ercole I, dei Duchi d’Este, signore di Ferrara, Modena e Reggio un sacco di semente di riso da cui, seminandolo, si potevano poi ottenere fino a dodici sacchi di risone, davvero molti per quei tempi a confronto con gli altri cereali.
Già nel ‘Diario Ferrarese’ di Ludovico Muratori si legge che nel 1495 il riso si vendeva a soli quattro quattrini la libbra, indice questo che in circa vent’anni si era raggiunta nella campagna ferrarese e nel Delta del Po una produzione rilevante, tenendo conto che allora le mele quotavano ben sei quattrini la libbra.
Già Ercole I, come poi suo figlio e successore Alfonso I, disposero che il riso fosse coltivato in tutte le aree del Delta del Po e, in pochi anni, la Romagna, parte dell’Emilia e le terre tra il Po e l’Adige videro moltiplicarsi le risaie.
A seguito di ciò le alte magistrature della Repubblica di Venezia compresero il valore alimentare ed economico del riso e il Consiglio dei Dieci, il vero organo di governo della Serenissima, con delibera del 12 ottobre 1527, volendo diffonderne la coltivazione, informò il popolo attraverso i suoi canali ufficiali che “il riso supplisce molto bene i legumi” e che conviene farne uso come ottimo prodotto alimentare.
Qualche anno dopo, nel 1533, allo scopo di incrementare ancor più la realizzazione di risaie e, conseguentemente, il consumo di riso, le autorità veneziane deliberarono di non gravare di alcuna tassa il riso prodotto nei suoi territori e, grazie a questo provvedimento, nei decenni successivi furono realizzate risaie non solo nel Delta del Po, nell’Alto Polesine e nella Bassa Veronese, ma in tutta la pianura veneta, nel vicentino, nel padovano, nel trevigiano, attorno alla laguna veneta e anche in Friuli e il prezzo del riso divenne alla portata di tutti. Ancor oggi in numerosi paesi del Trevigiano ci sono strade denominare “Via Risere”, “Via Risaie”, e simili, a conferma che le risaie erano ormai in tutta la parte pianeggiante della Marca trevigiana.
I “Risi e Bisi” del Doge
Divenuto un alimento abbastanza comune, il riso venne considerato – prima ancora che ciò succedesse in Lombardia e Piemonte – un alimento simbolo della cucina della Serenissima, vero e proprio piatto nazionale veneziano diffuso in tutte le terre della Serenissima, anche in Istria, in Dalmazia e nelle isole greche appartenenti alla Repubblica di Venezia. Ciò avvenne quando il Doge lo pretese sulla sua tavola in occasione della festa del Patrono san Marco, il 25 aprile, in una preparazione divenuta celeberrima, ancor oggi molto amata dai veneziani: i “Risi e Bisi” (risi con i piselli) Il Doge riteneva, infatti, che in virtù della sua alta carica avesse diritto di mangiare diversamente dal popolo comune, per cui la minestra di riso sua e dei suoi ospiti – quel giorno egli pranzava nella sala grande del Palazzo Ducale con le più alte cariche della Repubblica – doveva avere qualcosa che il popolo non poteva permettersi.
Ed ecco l’idea: aggiungere alla normale minestra dei piselli freschissimi, i primi della stagione non prodotti a Venezia e nelle terre d’attorno – ad aprile era infatti troppo presto per avere i piselli già pronti – ma nelle terrazze di Lumignano, nel versante orientale dei Colli Berici. E se, a causa del tempo avverso, in qualche anno quei piselli non fossero pronti per il 25 aprile il doge li mandava a prendere addirittura nella Riviera Ligure, dove la temperatura è più dolce e i piselli maturano prima.
E, da allora, il riso si diffuse ovunque e le calde minestre di riso troneggiavano sulle tavole sicuramente nei giorni fiesta e, spesso, anche durante la settimana. Ma avremo modo, un po’ alla volta, raccontare questa bellissima storia, andando nelle terre di origine del riso e poi raccontando i tanti modi di prepararlo.
L’autentica ricetta veneziana dei “Risi e bisi” (foto Carlo Lombardo)
Per 4 persone: 400 g di piselli sgranati, 200 g di riso per minestra, 50 g di pancetta magra, 3 cucchiai di olio extravergine d’oliva, mezza cipolla, una noce di burro, 1 cucchiaio di prezzemolo tritato, brodo, una manciata di formaggio grana grattugiato, sale e pepe.
Preparazione: in una casseruola fa soffriggere la cipolla e la pancetta tritate con l’olio e un po’ di burro, unisci i piselli e falli cuocere a fuoco moderato per una quindicina di minuti.
Cala poi il riso, rimesta con delicatezza per non rompere i piselli, insaporisci di sale e pepe e porta a cottura tenendo sempre bagnato con mestolini di buon brodo bollente, badando di mantenere una consistenza molto morbida e leggermente brodosa. Verso fine cottura controlla l’insaporimento, spegni il fuoco, incorpora il formaggio e il prezzemolo e manda subito in tavola.
Variante: fa bollire in un pentolino i baccelli dei piselli e porta a cottura il riso con il brodo ottenuto nel modo qui indicato, in modo da donare al piatto un colore sulle tonalità del verde.
Nelle foto presentiamo oltre ad una interpretazione moderna dei “Risi e bisi” di Domenico Longo, che del Ristorante La Vigna del relais Monaco di Ponzano , un risotto modernissimo di Alessandro Breda chef-patron del Ristorante Gellius di Oderzo.
Giampiero Rorato