Storie di Covid: come vivere confinati in appartamento durante il lockdown.
La vita di una famiglia con tre casi di positività, quando viene colpita dal Covid
| Lieta Zanatta |
MESTRE - «Mirco è stato male giovedì 5 novembre. Aveva la tosse e la febbre misurava 37,2. Abbiamo contattato immediatamente il nostro medico di famiglia, il quale lo ha inviato al Drive-in della Cipressina a Mestre per fare il tampone rapido. Che è subito risultato positivo. Quindi il dottore ha ordinato di fare il tampone molecolare per il giorno dopo. Intanto abbiamo cominciato a organizzarci con l'isolamento a casa»
Inizia così il racconto Silvia, che lavora da casa in smart working. Vive a Mestre con il marito Michele, i figli Mirco e Roberto, in un appartamento confortevole composto da una camera da letto grande e due piccole, un bagno grande e uno di servizio, la cucina e il soggiorno. Lei e il marito hanno oltre sessant'anni, i figli sono sotto la trentina.
«Isoliamo subito Mirco in camera sua. Può uscire solo per andare nel bagno di servizio, che usa solo lui. Il mangiare che gli preparo lo appoggio su uno sgabello che gli metto vicino la porta, su delle stoviglie di plastica. Lo fornisco di sacchetto in modo che butti piatti, bicchieri e forchette usati lì dentro»
Il giorno dopo, venerdì 6 novembre, Mirco va a fare il tampone molecolare che conferma la positività. Il medico di famiglia fa l'impegnativa per fare il tampone a tutti, che viene prenotato per il giorno 15 novembre, nello stesso giorno in cui Mirco deve rifare il tampone per vedere se è ancora positivo o si è negativizzato.
«Intanto al pomeriggio, comincio ad avere la tosse e a sentire che mi sale la febbre – continua Silvia – ma non riesco più a contattare il mio dottore. Quindi mi isolo nella camera matrimoniale, mio marito è nell'altra cameretta, uso il bagnetto con Mirco e seguo le sue stesse regole. A preparare da mangiare sono il marito e l'altro figlio. La situazione è tutt'altro che allegra, siamo preoccupati, ma cerchiamo di non farci prendere dal panico»
Il problema è che il dottore non si trova, è impegnato, e Silvia non riesce a contattare la Guardia medica.
«La linea risultava sempre occupata. Dopo innumerevoli tentativi lascio perdere. Al di là dell'isolarci, non sapevamo cosa fare. Mi prende un senso di scoraggiamento. Alla mia febbre si associano dei dolori, come quelli dell'influenza. Sono forti e decido di prendere della tachipina. Almeno i dolori, il giorno dopo, non li ho più»
Ma dopo due giorni, il lunedì, anche il figlio piccolo, Roberto, comincia a avvertire i sintomi. E anche lui si isola nella cameretta e usa il bagno piccolo. L'unico che si salva è papà Michele. Lui il Covid non lo prende. E' lui che prepara da mangiare e si preoccupa di tenere alto il morale. Non c'è niente altro da fare che aspettare il 15 novembre, il giorno del tampone "familiare". Intanto, i giorni seguenti, le condizioni di tutti migliorano, e, nel secondo fine settimana i sintomi della malattia scompaiono. Arriva il giorno del tampone che dà esito negativo per tutti.
Ma durante il decorso della malattia, come siete stati?
«C'è da dire a che a casa avevamo un saturimetro, e ci tenevamo controllati. La respirazione per tutti era buona, non abbiamo avuto problemi particolari. Ma non sentivamo gli odori, tanto che tenevamo ognuno del profumo sul comodino, per capire quando sarebbe ritornato l'odorato. Anche i gusti sentivamo alterati. Io, che amo il caffè, ne percepivo un gusto veramente cattivo. Ma stavamo attenti a tutti quei sintomi che potevano portare a un peggioramento. Che, per fortuna, non c'è stato»
Dieci giorni a casa. Il marito si è mai mosso, magari per fare la spesa?
«Michele è andato a fare la spesa solo la sera in cui per primo si è sentito male Mirco. Ben bardato con guanti e mascherina e di fretta, attento alle distanze, anche se c'era poca gente e non c'era da rischiare. Quindi successivamente abbiamo ordinato via telefono la spesa al supermercato vicino, con pagamento fatto tramite l'App di Paypal. Spesa che ci portavano fino davanti la porta dopo averci telefonato che stavano per arrivare. L'uscio veniva aperto quando il ragazzo delle consegne era andato via»
Qual è stata la cosa più vi ha preoccupati?
«Diciamo che, fisicamente, la cosa più preoccupante sono stati i miei dolori, durati però mezza giornata e spariti con la tachipirina. Certo – continua Silvia con la voce grave – non c'era assolutamente da stare allegri. I medici dicevano di aspettare e non prendere nulla. A novembre era così. E, pur preoccupati, abbiamo aspettato con pazienza e i nervi di tutti hanno retto. Certo, la malattia ci ha lasciati con tanta stanchezza da recuperare».
FOTO: immagini di repertorio