VERSO L'8 MARZO "All'esame da giornalista mi rimproverarono: non svolsi il tema sulla moda"
Sandra Bonsanti, tra le poche donne a dirigere un quotidiano: "Adesso conta soprattutto l'informazione locale"
TREVISO - E’ una delle grandi firme del giornalismo italiano. Una tra le prime e ancora troppo poche donne a dirigere un quotidiano. Dopo essere stata, tra gli anni Ottanta Novanta, inviata di punta e cronista politico di “Repubblica”. Con un intermezzo da parlamentare nella legislatura 2006-2008. Di scrivere - ci confessa - non riesce a fare a meno: uscirà l’11 marzo “Colpevoli” (Chiarelettere) sui poteri occulti in Italia (la P2 soprattutto) e sul loro oblio, per coprire uno Stato infedele. La cronaca, l’inchiesta, la ricerca: dal 1969, quando ha iniziato una carriera di quelle non proprio da tutti. E che è stata capace di conciliare con il suo essere mamma di tre figlie.
Non ha scelto una professione di quelle più comode. Per una donna, ancora meno. In un ambiente popolato, allora molto più di oggi, da uomini.
Quando nel 1971 ho sostenuto l’esame per diventare giornalista, il presidente della Commissione esaminatrice mi rimproverò per la scelta della traccia che avevo deciso di svolgere: “Ma come le è saltato in mente di scrivere di mafia? Avrebbe dovuto parlare di moda”.
E cosa gli ha replicato?
Che di moda non avrei saputo cosa scrivere. Quando ho iniziato mi hanno buttato subito a fare cronaca. Sono stata fortunata: ho incontrato sempre grandi direttori nella mia vita professionale.
È stato faticoso fare un lavoro con colleghi in gran parte maschi?
Non è stato sempre facile: maschilismo e sessismo nelle redazioni erano abbastanza diffusi.
Si è fatta coraggio...
Ce ne voleva in ogni caso: quando come inviata dovevi partire da sola, al sud ad esempio: Calabria, Sicilia.
Occupandosi di cose piuttosto incandescenti negli anni del terrorismo ha mai ricevuto intimidazioni?
Una volta hanno provato a bruciarmi la casa. Erano già entrati nell’edificio con le taniche piene di benzina. La prontezza della bravissima portinaia ha permesso di evitare il peggio.
Com’è stato invece dirigere “Il Tirreno”?
L’esperienza che mi ha regalato le più grandi soddisfazioni. Un giornale locale con quindici redazioni distaccate: non un lavoro così semplice da svolgere. Ricordo ancora però lo stupore e lo smarrimento che suscitai quando avvisai che non si sarebbe più fatta la cronaca andando nelle case a sottrarre le foto dei congiunti deceduti.
Quale era il messaggio?
Che la cronaca si deve fare rispettando il dolore delle persone.
Cosa ha significato per lei, firma di punta di quotidiani nazionali, occuparsi di informazione locale?
I giornali locali sono come le paste alla domenica. Guai se non ci fossero perché saremmo condannati a non sapere quello che accade più vicino a noi; notizie che non troveresti da nessuna altra parte.
Ed effettivamente è il tipo di informazione che resiste. Ma cosa c’è diverso nel giornalismo di oggi?
La ricerca della verità che oggi procede su rotaie diverse rispetto a un tempo. Poi c’è meno autonomia e libertà.
E ciò a cosa è dovuto?
A gruppi di potere fortissimi che si spartiscono i giornali. E alla mancanza di direttori come quelli che c’erano un tempo, con spalle molto larghe che difendevano i loro giornalisti a spada tratta.
Consiglierebbe oggi a una ragazza di imboccare la strada del giornalismo?
Bisognerebbe prima capire cosa è destinato a diventare questa professione. Comunque sì, soprattutto le suggerirei di occuparsi di cronaca locale: è irrinunciabile
Domani si celebra la Giornata della donna? Che significato ha per lei?
Vorrei che non ci fosse bisogno di celebrare una festa della donna ma se ne sentiamo ancora il bisogno significa che con il passare degli anni le cose non sono cambiate e la strada da fare ancora lunga. Magari questa pandemia avrà aperto gli occhi e magari qualcuno si sarà reso conto di tutto quello che ricade sulle spalle delle donne.