«Il rifugio Semenza venga intitolato alle vittime del Vajont»
Boato e de Savorgnani chiedono che il nome di Carlo venga cancellato
| Claudia Borsoi |
VITTORIO VENETO – Il suo nome sarebbe legato al disastro del Vajont. E, sempre a lui, è dedicato un rifugio nella Val de Piera. Monta la polemica, nel 50° anniversario del disastro che ha causato oltre 1.900 morti, sull’intitolazione a Carlo Semenza, uno dei progettisti della diga del Vajont, del rifugio “Carlo e Massimo Semenza”.
Carlo, nel 1925, fu socio-fondatore e primo presidente del Cai di Vittorio Veneto. Per questo nel 1963, a due anni dalla morte, venne intitolato all’ingegnere di origini milanesi il rifugio che oggi porta anche il nome del figlio Massimo, che fu pure presidente del Club Alpino Italiano vittoriese. «Perché non intitolarlo Rifugio Massimo Semenza e Vittime del Vajont?» propongono Michele Boato, presidente dell’Ecoistituto del Veneto, e Toio de Savorgnani di Mountain Wilderness. «Per rispetto alle vittime del Vajont – aggiungono i due -, si tolga il nome di Carlo dal rifugio “Carlo e Massimo Semenza”».
Negli anni passati, nell’ambiente degli appassionati di montagna già era circolata questa richiesta. Ora, all’avvicinarsi dell’anniversario, prende nuovamente forza. «Come si fa a lasciare un rifugio alpino dedicato ad uno dei responsabili di una delle più grandi tragedie dei tempi moderni in periodo di pace?» si chiedono de Savorgnani e Boato.
«Il dossier dell’ordine dei geologi, che verrà reso pubblico il 5 ottobre, conferma che assieme a Giorgio Dal Piaz e Alberico Biadene, anche Carlo Semenza, principale progettista della diga del Vajont, è uno dei responsabili delle migliaia di vittime del 9 ottobre 1963 – affermano Boato e de Savorgnani -: sapeva dell'enorme pericolo, ma ha taciuto, perché la Sade, per cui lavorava, potesse vendere la centrale allo stato, che stava nazionalizzando la produzione di energia elettrica. Quindi, un minimo di decenza vorrebbe che, anche se Carlo Semenza ha fondato la sezione del Cai di Vittorio veneto, il rifugio non porti più un nome macchiato di sangue. Il rifugio può mantenere il nome di suo figlio Massimo, che almeno non si è reso complice dello sterminio di tanti innocenti».