I ragazzi lo vogliono (più) lungo
L’andrologo Petterle prescrive la macchina allunga-pene
| Emanuela Da Ros |
CONEGLIANO – Forse tutto succede in nome della par condicio. Ma è inutile che pensiate a quote rosa, alla partecipazione delle donne alla vita pubblica, al riconoscimento del lavoro e del ruolo della donna in una società che – regole grammaticali a parte – resta declinata al maschile. La par condicio è legata al sesso-puro. O meglio: all’immagine sessuale che differenzia – fisicamente – uomini e donne. E che risulta positiva quando le donne piacciono agli uomini e quando gli uomini credono di piacere di più alle donne.
Delucidazioni. Da una decina d’anni (forse di più), per compiacere all’altro sesso non-so-quante donne in quella guancia di globo che è stata definita “civilizzata” hanno scelto di rifarsi le tette. Una aveva il seno piccolo? Protesi e interventini chirurgici più o meno riusciti (e costosi) potevano sollevarle morale (e capezzoli). La moda delle tette rifatte è esplosa, un po’ come la peste nel Trecento. Ma con conseguenze meno bubboniche, almeno sul piano non traslato. E a un certo punto, in nome della par condicio, anche l’uomo ha pensato di rifarsi qualcosa. Cosa? Il pene.
Il problema di parecchi maschi è sempre stato quello di averlo troppo corto. Rispetto agli altri maschi (sbirciati negli spogliatoi o in qualche foto patinataosè), ma anche a quell’ideale tutto mentale, veicolato chissà come e chissà perché, secondo cui quella cosa lì è meglio averla – diciamo così - prominente. Poiché, per un uomo, è un centimetro a fare la differenza (o la potenza), sempre più uomini hanno pensato (attualizziamo: stanno pensando) di allungare il proprio organo virile/riproduttivo. Ricorrendo alla meccanica e/o alla chirurgia.
I fatti. La prova di quanto sta accadendo ce lo danno i dati: ogni anno, nel centro di Sessuologia di Milano, circa 250 uomini si fanno allungare (e ingrossare) il pene grazie alla falloplastica. E dalle nostre parti si copia/incolla. O meglio: si copia/allunga. Il dottor Valerio Petterle (in foto), andrologo dell’Ulss7, in servizio all’ospedale di Conegliano spiega che sono sempre di più i ragazzi(ni) che si rivolgono a lui per la faccenda di cui sopra.
“Le dimensioni ridotte li pongono in una situazione di disagio
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“I ragazzi, dai 18 in su, chiedono in misura sempre maggiore un allungamento del pene, perché le dimensioni ridotte rispetto alla media, li pongono in una situazione di disagio che influenza negativamente i loro rapporti, la loro vita normale- spiega il medico-. I ragazzi si “confrontano” negli spogliatoi, per esempio. Oppure paragonano il proprio pene a quello dei modelli ipotizzati da pubblicità e mass media: si sentono inadeguati e chiedono in misura sempre più elevata di poter intervenire sulla lunghezza del loro organo sessuale.”
Qual è la terapia che lei suggerisce?
Prima di tutto, convinco i pazienti a intraprendere un percorso psicologico, perché a volte il senso di inadeguatezza è più mentale che fisico. Poi, se è il caso, prescrivo un apparecchio (dotato di una sorta di pesi) che in sei mesi, un anno, consente al pene di allungarsi di uno o due centimetri mantenendo intatta la propria funzionalità ovviamente.
L’apparecchio consente anche di ingrossare l’organo maschile?
No. Parliamo solo di allungamento. Che è l’aspetto che interessa all’uomo.
Ma qual è la “misura” normale?
Dai 14 centimetri in su. Sembra sciocco che la potenza maschile dipenda da ordini di grandezza così limitati, eppure le “misure del pene” sono una forte fonte di condizionamento. Al maschio, sempre più spesso, manca la sicurezza sulla propria prestanza fisica. In realtà, l’uomo si sente particolarmente pressato dal giudizio della donna. E per compiacere a quella che crede sia una diffusa aspettativa femminile farebbe di tutto. Io dico sempre che il pene è come la faccia: ognuno ha la sua. Ma spesso né il pene né la faccia incontrano il gradimento del suo proprietario. E allora si interviene.
L’apparecchio che lei prescrive dà risultati positivi?
Sì. Se lo si fa funzionare correttamente e sotto controllo, i risultati si vedono. O si misurano, sarebbe meglio dire.
Potremmo anche scherzarci su, rileggere – contestualizzandolo alla faccenda - un motto popolare: se per un punto Martin perse la cappa, per un centimetro un ragazzo potrebbe perdere la morosa. Ma chissà se è davvero così. In ogni caso, il dottor Petterle il suo bel da fare col sesso (degli altri) ce l’ha. A qualunque età. “Una volta – afferma l’andrologo – la questione sesso si archiviava a sessant’anni.
“Ho pazienti di 90 anni che si rivolgono a me per superare deficit erettili
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Ora ho pazienti di 75/80 ma anche di 90 anni che si rivolgono a me per superare eventuali deficit erettili, magari dopo aver sperimentato, senza grande fortuna, quello che chiamo “viagra rurale”, un mix di peperoncino, vino e altre sostanze gastronomiche-naturali che stentano a mantenere le promesse, o le premesse. Diciamo che oggi finché c’è vita, c’è– tendenzialmente – vita sessuale. E il desiderio di protrarre il piacere il più a lungo possibile.”
La ricerca. A proposito di sostante eccitanti naturali, il dottor Petterle sembra averne trovata una a portata di mano. E di prosit. Durante una sperimentazione, durata un anno, e che ha coinvolto 100 vittoriesi dai 25 ai sessant’anni, l’andrologo ha visto confermata la tesi che “il vino rosso fa buon sangue, ma anche buon sesso”. “Valutando il campione di cento uomini, tra i quali c’erano degli astemi – ho verificato come il vino rosso, assunto in moderate quantità, aumenti libido e potenza sessuale. Grazie ai polifenoli di cui è ricco il vino rosso contribuisce infatti a pulire le vene dei condotti penieni favorendo l’afflusso di sangue che porta all’erezione.” I risultati della ricerca dell'andrologo vittoriese sono stati recepiti a livello nazionale, durante il congresso nazionale di andrologia di Montecatini Terme. Per verificare l’attendibilità delle conclusioni, il dottor Petterle ha fatto compilare al suo campione di uomini un questionario nel quale si evinceva anche il grado di soddisfazione delle partner.
Perché il successo – come si diceva – in regime di par condicio è totale solo quando è decretato (anche, o soprattutto) dall’altro sesso.