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18 febbraio 2025

Vittorio Veneto

Sono fuggiti dalla guerra, inseguendo la speranza. Noi, gli abbiamo dato un pennello

Mohamed, Lamin e Sylla: i richiedenti asilo che prestano attività di volontariato in area Fenderl

| Stefania De Bastiani |

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| Stefania De Bastiani |

Sono fuggiti dalla guerra, inseguendo la speranza. Noi, gli abbiamo dato un pennello

Da sinistra Mohamed, Lamin e Sylla

VITTORIO VENETO - Quando li incontro, indossano una tuta da imbianchini. Hanno il pennello in mano e stanno dipingendo di rosso alcune carriole. Hanno coperto la parte che non va pitturata con scotch e giornali: un lavoro minuzioso, che hanno fatto da soli, nonostante non abbiano alcuna esperienza nel campo.

Lamin, in Guinea, faceva il meccanico. Mohamed, in Mali, andava a scuola: frequentava un istituto tecnico commerciale. Sylla, in Costa d'Avorio, era un autista. Ora sono richiedenti asilo, ospiti del Ceis di Vittorio Veneto, e ogni giorno prestano attività di volontariato all'area Fenderl.

 

Lamin ha 32 anni e viene dalla Guinea, un paese del Nordafrica retto da un regime non democratico, frutto di golpe, dove i diritti umani non vengono rispettati. La sovranità popolare non esiste e il paese è in preda a continui attacchi armati che rendono impossibile la vita. Una situazione di pericolo e instabilità che ha spinto Lamin ha partire. A lasciare la sua terra per cercare, trovare e dare ai suoi tre figli un futuro. Il ragazzo è partito oltre un anno fa dalla Guinea. Ha attraversato il Mali, il Niger, la Libia, per raggiungere la costa. Un viaggio lungo, faticoso, pericoloso e costoso. In Libia ha dovuto lavorare, guadagnare altri soldi, attendere. Pagare. E solo dopo otto mesi è riuscito a mettersi in viaggio per l'Europa, a raggiungere la Sicilia e poi Vittorio Veneto, dove vive da circa un anno, senza sapere che ne sarà di lui.

 

Mohamed ha 26 anni e viene dal Mali, terra dove gli attacchi da parte dei separatisti tuareg e dei fondamentalisti islamici contro i civili sono all'ordine del giorno. Attacchi a cui il governo risponde con dure rappresaglie, per le quali è accusato di violazione dei diritti umani. Mohamed, in questa situazione, non poteva crescere il suo bimbo di pochi mesi ed è per questo che, un anno e mezzo fa, ha deciso di partire: verso un paese sicuro, dove non rischiava la vita ogni giorno e dove avrebbe potuto trovare un lavoro, costruirsi un futuro. Mentre la fidanzata e il piccolo si sono rifugiati in Togo, Mohamed è andato la Libia, approdo obbligato per chiunque voglia raggiungere l'Europa. Qui ha lavorato due mesi presso un autolavaggio e quattro come agricoltore finché, racconta il ragazzo "E' scoppiata la guerra, lanciavano bombe, il mio padrone è fuggito in Tunisia e tutti noi abbiamo perso il lavoro. Non potevamo più guadagnare, né tornare indietro, né tantomeno rimanere: era troppo pericoloso". Al ragazzo è rimasta un'unica chance: prendere una barca e salpare.

 

Sylla è nato e cresciuto in Costa d'Avorio. Non ha figli, ha perso il padre e nella sua terra natìa ha lasciato la madre e un fratello che non vede dal 2011, quando il paese sembrava essere ripiombato nella guerra civile. L'esercito che appoggiava il neo eletto presiedete Ouattara combatteva città per città per avere il controllo del paese. La fuga era l'unica speranza di vita per Sylla che tra le bombe e le armi aveva già perso alcuni suoi cari. Dalla Costa d'Avorio il giovane ha attraversato il Mali, l'Algeria ed è poi arrivato in Libia dove per quattro mesi ha lavorato come commesso in un supermercato. Finché la guerra non l'ha raggiunto, di nuovo, costringendolo ad affidarsi al mare, alla (probabile ma per nulla certa) Europa.

 

Ed è proprio in mezzo al Mediterraneo che Sylla, Lamin e Mohamed si sono incontrati. "Eravamo in 115 - racconta Mohamed - strettissimi in una barchetta minuscola, di plastica". Mima il mezzo con le mani, Mohamed, brandendo il pennello. Mentre parlo con uno di loro, gli altri lavorano, non si fermano. Siete contenti di quello che fate qui? "Certo - risponde Mohamed - era da tempo che chiedevamo di renderci utili".

Da quando sono stati impiegati nell'attività di volontariato i tre ragazzi, insieme al pakistano Ibrar, hanno sistemato tutti i giochi del parco, ritinteggiato, eseguito lavori di manutenzione. "Sono davvero preziosi", sottolinea Carlo De Poi, dell'associazione Fenderl.

 

Smettono di pitturare solo quando gli chiedo di mettersi in posa, per una foto. Sono un po' restii, ma lo fanno. Chiedo loro di fare un sorriso. Mohamed e Sylla ci riescono, sorridono. Lamin no. Forse, quando si perde tutto, quando si vede la morte, quando si prova la perdita, lo sfruttamento, la povertà, la paura, la fame, la sete, anche sorridere diventa difficile, se non impossibile.

 


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Stefania De Bastiani

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