Il Baccalà in agrodolce all’orientale

La storia di un piatto storico. E anche la ricetta

| Giampiero Rorato |

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Giampiero Rorato | commenti |

TREVISO - La cucina veneziana è un patrimonio gastronomico di inestimabile valore, poco conosciuto dagli stessi veneziani, mentre merita una ben maggiore valorizzazione e una più diffusa, seria e curata presenza anche nelle trattorie turistiche (e non solo) che a Venezia sono numerose e un convincente intervento sul tema da parte delle autorità locali sarebbe utile e importante.

E dire che nel gruppo di isole e isolotti sui quali è sorta la splendida città, come lamentava il doge Ziani nel lontano medioevo e come ripete Carlo Goldoni (1707-1793) in una sua commedia, non nasce nulla e si trovano solo, diceva Ziani, pesce e cappe (molluschi).

Goldoni, nella commedia “Chi la fa l’aspetta” del 1766, fa dire a un oste che risponde alle richieste d’un curioso cliente: “La comandi, e no la dubita gnente. Semo a Venezia, sala! No ghe nasse gnente, e ghe xe de tutto, e a tutte le ore, e in t’un batter d’occhio se trova tutto quel che se vol. La comandi.”

La cucina veneziana non trova a Venezia quasi nulla di "proprio", nel senso che i prodotti locali sono quelli offerti dalle acque della laguna, ma ha saputo costruire nel corso dei secoli una cucina di una ricchezza e di una varietà tale da lasciar sbalorditi anche i più esigenti bongustai che da secoli arrivano da ogni parte del mondo a scoprire le bellezze e le dolcezze della città di san Marco.

Un esempio molto eloquente di quanto fin qui affermato ce lo dà il piatto di cui riporto la ricetta e vediamo subito le sue caratteristiche principali.

Innanzi tutto il baccalà – così i Veneziani chiamano lo stoccafisso dal secondo decennio del 1600 - e si presume che lo stoccafisso, che è merluzzo essiccato (perché di questo si tratta), conosciuto dal nobile veneziano Piero Querini nel 1432, quando fu accolto naufrago nell’isola Røst, arcipelago delle Lofoten, in Norvegia oltre il Circolo Polare Artico, sia arrivato a Venezia dopo il Concilio di Trento (1545-1563), probabilmente attorno agli anni ’70 di quel medesimo secolo.

E se la preparazione venezianissima di questo pesce è il “baccalà mantecato”, di cui ho già scritto, presente sulle tavole veneziane forse già entro la fine di quel medesimo secolo, nei decenni e nei secoli immediatamente seguenti, i veneziani hanno elaborato diverse ricette con lo stoccafisso, attingendo a piene mani a quanto di buono e di interessante veniva scaricato in Riva degli Schiavoni dalle centinaia di navi che percorrevano il Mediterraneo e le cose orientali dell’Atlantico, fino in Norvegia, fino all’equatore.

Ci sono poi nella ricetta tre ingredienti che possono lasciare perplesso il buongustaio: zucchero, pinoli e uva passa. Sono ingredienti tipici della cucina araba, ma anche ebraica, ma anche più genericamente del Vicino Oriente, ricordando che Costantinopoli, prima con gli imperatori romani d’Oriente, poi, dal 1453, con i Sultani turchi, assommò in sé sia la tradizione romana che quella araba elaborata dai califfi della dinastia Abbasside che regnò a Bagdad nell’ultimo quarto del primo millennio.

C’è dunque un rapporto strettissimo tra Venezia e la cultura gastronomica sia di Costantinopoli che di Bagdad che continua in diversi piatti dell’attuale cucina veneziana. Prepararli con serietà, anche aggiornandoli con intelligenza, è un modo per continuare a mostrare al mondo cos’è stata la Repubblica di Venezia nei sui mille anni di storia e quando abbia contribuito a sviluppare e affinare – oltre a tante altre cose – anche la cucina europea. Merito non da poco, che non va assolutamente dimenticato.

La ricetta
Per 5-6 persone: 600 g di stoccafisso, olio extravergine di oliva, 2 spicchi d’aglio, 1 pugnettino di prezzemolo, mezzo bicchiere di aceto, 2 cucchiai di zucchero, 30 g di pinoli, 50 g di uvetta sultanina, farina, sale.

Prendi lo stoccafisso già battuto e mettilo a bagno per due-tre giorni cambiando l’acqua almeno tre volte. Mettilo in una pentola con acqua fredda e portalo quasi a bollore, tenendolo per tre quarti d’ora. Lascia che si raffreddi, mondalo con cura, taglialo in 4 pezzi quadrati, passali alla farina e falli rosolare in un soffritto di olio extravergine d’oliva e un battuto d’aglio e prezzemolo. Fa rosolare i pezzi da ogni parte e irrorali con un liquido preparato portando a bollore in un tegamino un bicchiere d’acqua, l’aceto, lo zucchero, i pinoli, l’uvetta fatta precedentemente rinvenire in acqua tiepida e fa bollire per 5 minuti. Versa questo liquido sul baccalà e continua la cottura facendo sobbollire con il coperchio per circa mezz’ora. Manda in tavola con polenta bianca caldissima.
 

 



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Giampiero Rorato

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