BUONA DOMENICA Evviva le spose
Paola Turci e Francesca Pascale convolate a nozze ieri. Ma più noti sono i protagonisti e più aumentano le manifestazioni di omofobia e pregiudizio.
TREVISO - Auguri a Paola e Francesca che nel castello di Velona, sulla Val d’Orcia in Toscana, hanno contratto ieri, davanti al primo cittadino di Montalcino, una unione civile. Non sono le prime due donne a sposarsi tra loro. Certamente tra le più famose, se non addirittura le più popolari: la prima fa di cognome Turci, ed è la nota e apprezzata cantante italiana; la seconda si chiama Pascale ed è stata a lungo compagna dell’ancor più conosciuto Silvio Berlusconi.
Della relazione nessuno aveva mai parlato e si è saputo quarant’otto ore prima della celebrazione dell’unione civile. Riservatezza apprezzabile come stile. Forse anche esigenza di auto-protezione. Infatti: “dopo che la notizia dell'unione civile di Paola Turci e Francesca Pascale, oggi a Montalcino, è diventata di dominio pubblico, la cantautrice romana ha ricevuto e denunciato insulti omofobi.
Nelle sue storie di Instagram, l'artista ha pubblicato un messaggio ricevuto da un profilo di una guest house piemontese: "Lesbicona che schifo!!", recita lo squallido post, che la cantante ha mostrato, commentando: "Ignoranza, omofobia, cattiveria e infelicità in una sola frase". (“Il Corriere della sera”).
Se a proposito dei diritti civili di strada ne è stata fatta, in Italia, e se sul diritto ad essere felici obiezioni non vengono formalmente anteposte, il piano dei pregiudizi omofobi è invece ancora molto assortito e soprattutto abitato da una cattiveria che sfocia nella aggressività e nella violenza. La sera prima dell’annuncio di Paola e Francesca, a Milano, un ragazzo se l’è vista brutta e per un colpo di fortuna gli è riuscito di scampare al peggio.
Il racconto su “Il Domani”: “ Ieri sera, Milano, zona Martesana, ora non tarda. Un mio amico dopo una festa di compleanno stava raggiungendo un’Enjoy. Nel giro di pochi secondi gli si sono avvicinati tre ragazzi, lo hanno accerchiato e hanno iniziato a dirgli, a voce crescente: «gay gay gay». L’app non comunicava, la portiera non si apriva.
Il mio amico, testa bassa, non ha reagito. Ha continuato a guardare il telefono, sperando in una soluzione che non è arrivata. Poi, alzando lo sguardo, ha notato una bici a noleggio distante pochi passi. Tentando l’azzardo ha provato a raggiungerla. Ci è riuscito. Mentre iniziava a pedalare il più forte possibile i tre hanno preso a rincorrerlo e a urlargli «frocio di merda». Gli è andata “bene”: la paura e l’umiliazione avrebbero potuto essere ancora più grandi, capita che siano ancora più grandi. Perché questo, e anche di peggio, ancora succede, nella città in cui abbiamo pensato che saremmo stati al sicuro, questo oggi – dato il problema sicurezza che Milano vive negli ultimi mesi – capita di sentire che succede, mentre ci dicono che ormai certe battaglie sarebbero immotivate, anacronistiche”.
C’è una parte di umanità malata nel nostro Paese, che di guarire non vuole proprio saperne. Ma ancora peggiore è che non la smette di voler fare del male a chi non lo fa proprio a nessuno e che ha diritto - come tutti - a essere felice a modo suo. Proprio come in “Piazza Grande” Lucio Dalla: “A modo mio avrei bisogno di carezze anch'io? A modo mio avrei bisogno di sognare anch'io”.
Buona domenica