"Giulia e Filippo, vicenda segnata dal sentimento della paura"
Il criminologo Franco Tramarin, il cui studio è a Motta, analizza il doloroso episodio che ha segnato per sempre due famiglie
| Angelo Giordano |
Franco Tramarin (foto Verardo)
MOTTA DI LIVENZA - «Per amore, forse per senso materno di accoglienza, Giulia ha trovato la morte. Dobbiamo dare ascolto ai “segnali” di una relazione distorta. Giulia aveva paura: e questo è un campanello d’allarme incontrovertibile».
Lo spiega il criminologo e psicologo Franco Tramarin, ex giudice con studio a Motta di Livenza. Lui stesso, rimasto colpito dagli eventi di Giulia e Filippo, ha ricostruito analiticamente il rapporto psicologico tra i due. Spiegando, dal suo punto di vista, la strada da percorrere ora.
Dottor Tramarin, c’è un sentimento chiaro che traspare nella vicenda…
«Sì. Questa ragazza aveva paura. Si era confidata con le amiche, da quello che leggo: qualcosa nella relazione non andava. E la paura porta a tre reazioni. La prima è l’aggressione: un modo per reagire a questo sentimento. Molti atti criminali sono quasi sempre spinti dalla paura. La seconda posizione è la fuga: scappo perché voglio proteggermi. Ma c’è una terza posizione in questa dinamica, ossia il cosiddetto "freezing". E cioè una sorta di ‘congelamento’. Uno si blocca nonostante la relazione agli sgoccioli. Un istinto, mi verrebbe da dire, materno. Spesso le persone vogliono continuare a parlarsi e molte vittime di femminicidio vanno all’ultimo incontro per chiarire. E sono quasi sempre fatali.
Giulia era consapevole della relazione ma ha continuato a rimanere in quest’ultima fase, forse perché aveva riconosciuto la fragilità di Filippo e aveva avuto pietà».
Questa l’analisi. Ma quale allora la soluzione?
«In base a questo scenario, la scelta sarebbe quella del “distacco”. Secondo il mio punto di vista, come criminologo, la soluzione è l’allontanamento. Quando io percepisco la paura di una persona, devo allontanarmi. Questo mi permetterà di osservare la situazione da un punto di vista diverso, meno coinvolgente. Mi serve per mettere ordine nei pensieri, ma anche capire i miei desideri e le mie aspettative. Serve, in sostanza, a rafforzarmi».
E nel caso specifico?
«Da quello che ho potuto leggere, ho notato che questo distacco non c’è stato, nonostante la paura. Questo purtroppo è stato fatale per Giulia».
Cosa fare allora?
«I giovani dovrebbero abituarsi a staccarsi dalle relazioni senza futuro. Più in generale la frustrazione fa parte della vita e non bisogna nasconderla. Ci prepara al “dopo”. In parole povere può esserci la sconfitta, è nell’ordine delle cose. Ma dobbiamo imparare fin da giovani ad affrontarla. In questo caso Filippo aveva 22 anni e aveva tutta una vita davanti per trovare l’altra metà. Non è detto che le prime relazioni abbiano successo. Dunque interrompere il rapporto può essere utile e a volte salva la vita».
Da qui l’importanza della famiglia…
«È necessario abituare i nostri ragazzi anche alle frustrazioni, anche alle sconfitte che nella vita ci saranno sempre. Fondamentale entrare in contatto con la realtà dei figli. So bene che è difficile, anzi a volte molto difficile. Ma questo è il compito del genitore: attraverso la propria esperienza, deve rendere il proprio figlio una persona autonoma e consapevole di sé stessa».
Consapevole, però, anche dell’altro?
«Quando penso che una persona è mia proprietà, sono già in questo momento fuori da una relazione. Perché un individuo, lo dice la parola stessa, è un soggetto ‘non diviso’. Ogni persona è un mondo a parte e non appartiene a nessuno, se non a sé stesso. Queste sarebbero un po’ le idee che andrebbero sviluppate nei nostri figli».
E perché è così difficile?
«Perché è radicata nella nostra società l'idea che bisogna per forza avere un partner e non si può stare da soli. A volte la solitudine può anche essere un valore che permette di conoscerci in maniera più approfondita. E permette, in ultima analisi, di rafforzare la nostra identità. Sarebbe utile interrogarsi su questo: in altre parole, dobbiamo capire chi siamo per poi affrontare una relazione in maniera consapevole».
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