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26 dicembre 2024

Cronaca

Green pass falsi: truffa in internet con ricatti e minacce

Diverse persone si sono affidate al dark web per ottenere illegalmente il lasciapassare, divulgando tuttavia dati personali e divenendo oggetto di ricatto.

| Leonardo Sernagiotto |

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| Leonardo Sernagiotto |

Green pass falsi: truffa in internet con ricatti e minacce

ITALIA - Gridano al complotto del Nuovo Ordine Mondiale, affermano di aver smascherato i raggiri di Big Pharma, vedono in Bill Gates uno degli artefici della pandemia in corso, danno delle pecore e dei lobotomizzati a coloro che, con senso civico, si sottopongono alla vaccinazione anti-Covid 19. Poi succede che qualcuno dei no-vax, pur di ottenere il green pass necessario ad accedere a numerosi esercizi pubblici, si affidi alla rete per recuperare illegalmente il “lasciapassare verde”.

Peccato che nel mondo del "dark web", le cose funzionino diversamente dal mondo reale e il rischio di rimanere invischiati nelle ragnatele di ricatti ed estorsioni sia quanto mai elevato. È quanto apparso sulla pagina Facebook “Abolizione del suffragio universale”, che ha pubblicato alcune schermate prese da un gruppo Telegram che prometteva di procurare green pass fasulli.

I gestori del gruppo in questione fornivano anche un tariffario per il servizio: un green pass 300 euro, due a 500 euro, quattro green pass a 900euro. Bastava inviare i propri documenti personali, come codice fiscale, tessera sanitaria, carta d’identità. I pagamenti dovevano avvenire in modalità non tracciabili, come Bitcoin o buoni sconto.

Peccato che i green pass fasulli non arrivavano o, come era da aspettarsi, non funzionavano. Al che diverse persone hanno protestato, arrivando a minacciare di querela i gestori del gruppo. I quali, mantenendo occultata la propria identità (al contrario di chi cercava i greenpass), hanno a loro volta minacciato gli utenti di divulgare i loro dati personali nel dark web, alla mercé di qualsiasi hacker o delinquente informatico, se non fosse stato pagato loro un riscatto di 350 euro, ovviamente in Bitcoin. Una volta avvenuto il pagamento, i gestori – naturalmente senza alcuna garanzia – avrebbero eliminato i dati in loro possesso.

Oltre il danno, anche la beffa, dato che i gestori hanno avuto anche la possibilità di denigrare apertamente coloro che volevano minacciarli: «Noi offrivamo un servizio illecito, è vero. Ma la nostra identità è sempre stata ben tutelata, così come i nostri sistemi. I clienti, gli stessi che ora cercano di minacciarci, ci hanno fornito i loro documenti, i loro recapiti ed hanno addirittura pagato fornendo prove del pagamento, tutte prove che abbiamo accuratamente archiviato consci che sarebbe successo questo. Minacciare un'identità ignota quando si è totalmente disarmati, nel torto e con l'unica possibilità di prendere una denuncia penale è da stupidi».

Dato che il sistema del Bitcoin funziona con la cosiddetta blockchain, un archivio digitale crittografato, condiviso da tutti gli utenti, il quale registra tutte le operazioni effettuate con i Bitcoin, è possibile sapere i movimenti legati all’“address” fornito dai gestori del gruppo Telegram. Emerge che venti persone hanno già pagato il riscatto, portando gli incassi del solo riscatto a 0.16981955 Bitcoin, pari a circa 7.600 dollari.

Sulla pagina Facebook che ha divulgato la notizia sono partiti naturalmente gli sfottò, rivolti a una categoria di persone che ha sempre fatto della tutela della privacy un proprio cavallo di battaglia (prima contro l’app Immuni, poi contro l’esibizione dei greenpass), salvo poi affidare a sconosciuti dati sensibili, esponendosi senza tutele al mondo del dark web.

 


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