"Io, qui Italia, in pena per mio figlio bloccato in Ucraina"
La testimonianza di una badante che da due anni non può vedere il figlio, prima per la pandemia e ora per la guerra
| Emanuela Da Ros |
VITTORIO VENETO - Svetlana Malinovsky ha gli occhi tristi. Ma il sentimento più forte che prova in questo momento è la paura. In Italia da otto anni, Svetlana ha lasciato l’Ucraina, il suo paese, e i suoi familiari per cercare condizioni di vita migliori e un lavoro che contribuisse anche al sostentamento della famiglia rimasta in patria.
A Vittorio Veneto ha trovato lavoro come badante e un compagno di vita, Tiziano Segat, con cui si è sposata qualche tempo fa. Buona parte dei suoi affetti però li ha lasciati in Ucraina, dove vivono i genitori, gli zii e soprattutto Bohdan, il figlio 19enne.
“Bohdan - spiega Svetlana - avrebbe dovuto raggiungermi due anni fa per continuare gli studi qui in Italia. I documenti erano pronti, ma poi è scoppiata la pandemia e le frontiere sono rimaste chiuse, il ricongiungimento non si è potuto realizzare. Ora che l’emergenza sanitaria sembrava finita è arrivata la guerra, e la situazione è peggiorata. Mio figlio non può allontanarsi dall’Ucraina, ma in queste ore non può nemmeno uscire di casa.
Noi abitiamo nella parte occidentale dell’Ucraina, vicino al confine con la Polonia, ma anche in questi territori gli echi di guerra arrivano con violenza. Mentre le donne hanno una relativa libertà nell’uscire di casa, per lavorare o fare la spesa, gli uomini giovani, anche quelli dell’età di Bohdan, corrono un grosso rischio. Possono essere catturati, diventare un bersaglio.”
Le comunicazioni tra Svetlana e i suoi familiari sono tanto frequenti quanto allarmanti. “Si vive ora per ora una situazione di grande incertezza - conclude Svetlana - e i miei timori qui in Italia sono amplificati dalla lontananza, dall’impotenza.”