Don Pesce del Centro della Famiglia di Treviso: "Che questo Natale dia forza per imparare di nuovo a parlare e parlarsi"
Lettera aperta di don Francesco Pesce alla cittadinanza
| Isabella Loschi |
TREVISO - “Non ho parole”: tante volte quest’anno ci siamo detti questa frase, di fronte a fatti di cronaca che ci lasciano con il fiato sospeso, con lo spirito turbato e, soprattutto, con tante domande: “com'è possibile che sia successo? Com’è possibile arrivare a tanto?”. Eravamo abituati a cercare la causa in qualcosa di strano, fuori dal comune, e invece la violenza e il male sembrano abitare la vita ordinaria, “era una persona normale”, diciamo. E per questo tutto sembra più assurdo e rimaniamo senza parole”. Usa la penna don Francesco Pesce, al vertice del Centro della Famiglia di Treviso, per lanciare in occasione del Natale un messaggio aperto alla cittadinanza trevigiana mettendo in fila le varie situazione di fronte alle quali nel capoluogo e nel territorio della Marca ci si trova sbigottiti e inermi. Lo fa partendo da quell’osservatorio che è il centro di via San Nicolò a Treviso, punto di riferimento per le famiglie di tutte le età e relazioni, affettive e genitoriali, e tracciando un fil rouge tra quello che accade all’interno delle coppie e nella vita sociale e i fatti della strada, dove il disagio interiore si alimenta e diventa violenza e diventa marginalità.
“«Non abbiamo parole», per affrontare le tensioni e le controversie, e infatti l’aggressività sta aumentando in tanti ambiti, dal traffico al vicinato. E l’unico modo che ormai conosciamo per affrontare un conflitto è dire «ti denuncio», alzare la voce, alzare le mani. «Non abbiamo parole» neppure per dire amore. Siamo testimoni di relazioni d’amore che degenerano nel loro contrario e di cosiddette relazioni amorose che non lo sono mai state. Parole che sembravano dire amore e che invece si rivelano dire il contrario: possesso, controllo, paura di perdere. «Non abbiamo parole» è anche la situazione di molte famiglie, in cui le parole sono usate per informare ma non più per dialogare, parole incapaci di accorciare le distanze, di dare sapore alla tavola e di riscaldare la casa. «Non ho parole» è anche la fatica di un genitore che non sa più come prendere il figlio o la figlia, o che non sa cosa dire per aiutarli senza forzare. «Non abbiamo parole», per dire i valori di questo nostro territorio: onestà, solidarietà, accoglienza, vicinato, saluto, aiuto, famiglia, futuro, insieme, bene comune. Alcune di queste sono scritte illuminate sopra la strada che ci accoglie entrando in città, ma forse qualcuna l’abbiamo persa noi, e per questo non ci capiamo più e corriamo tanto. «Non abbiamo parole», come molti anziani o persone sole, che non trovano alcuna parola durante la loro giornata, o la sera, quando fa buio, e la mancanza di una persona cara è ancora più forte”.
"La tradizione cristiana a Natale, di notte, quando ci sono meno parole, ci annuncia un Dio che si fa Parola, una Parola che si è fatta vicina, talmente vera da farsi toccare, abbracciare, cullare. Una parola così fragile da farsi bambino, entrando nel mondo in punta di piedi, una parola che subito non parla ma ascolta e che, un po’ alla volta, imparerà a parlare. Che questo Natale dia forza per imparare di nuovo a parlare e parlarsi, per ripartire con il saluto e con il dialogo. Lo sappiamo, lo sperimentiamo ogni volta: vale la pena parlarsi, per chiarirsi, per spiegare il nostro punto di vista, per capire le idee altrui, in famiglia, tra vicini di casa, tra parenti, al lavoro, in coppia, in tanti altri ambienti di vita. Sembra di essere deboli e perdenti, e invece stiamo costruendo ponti e spazi di futuro. E perché non dirsi anche qualche parola in più quando ci faremo gli auguri i prossimi giorni?Buon Natale”.
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