Cecilia Sala: "21 giorni di incubi nel carcere di Evin tra interrogatori incappucciata e isolamento"
La giornalista rivela i dettagli della sua detenzione nel carcere di Evin e il suo percorso verso la libertà
Cecilia Sala ha condiviso la sua drammatica esperienza di 21 giorni di prigionia in Iran durante un'intervista a "Che tempo che fa", il popolare programma televisivo condotto da Fabio Fazio sulla Nove. Il suo racconto offre uno sguardo inquietante sulle condizioni di detenzione nel famigerato carcere di Evin a Teheran, noto per ospitare prigionieri politici e giornalisti.
La Sala ha descritto in dettaglio le difficoltà affrontate durante la sua detenzione, iniziata il 12 dicembre nonostante fosse in possesso di un regolare visto giornalistico. I primi quindici giorni sono stati caratterizzati da interrogatori quotidiani, durante i quali la giornalista veniva tenuta incappucciata e con il viso rivolto al muro.
La giornalista ha trascorso la maggior parte del tempo in una cella di soli due metri per tre, priva di contatti umani significativi. Le sono state negate le lenti a contatto, limitando ulteriormente la sua percezione dell'ambiente circostante. Per combattere la noia e mantenere la lucidità mentale, la Sala si è dedicata ad attività come contare le dita, leggere gli ingredienti del pane confezionato e ripassare le tabelline.
Tecniche di interrogatorio e resilienza
Gli interrogatori, condotti da un individuo mascherato con un'ottima conoscenza dell'inglese e dell'Italia, alternavano momenti di apparente rilassamento a periodi di intenso stress psicologico. La Sala ha rivelato di aver avuto un crollo emotivo durante uno di questi interrogatori, richiedendo l'assunzione di un calmante.
Nonostante le severe restrizioni sulle comunicazioni, la giornalista è riuscita a trasmettere informazioni sulla sua situazione al compagno Daniele Raineri utilizzando un linguaggio in codice durante le telefonate sorvegliate.
La svolta è arrivata quando alla Sala è stata comunicata la morte dell'ex presidente americano Jimmy Carter, un evento che le ha fatto comprendere di essere considerata un ostaggio politico. La sua liberazione, descritta come l'operazione più rapida per liberare un ostaggio dagli anni Ottanta, è stata un momento di intensa emozione.
Ora libera, la Sala sta affrontando il processo di recupero, alternando momenti di euforia ad altri di ansia. Nonostante l'esperienza traumatica, la giornalista ha espresso la volontà di tornare al suo lavoro, pur escludendo la possibilità di recarsi nuovamente in Iran finché persisterà l'attuale regime.
Il caso di Cecilia Sala getta luce sulle continue sfide affrontate dai giornalisti in contesti politicamente sensibili e sottolinea l'importanza della libertà di stampa e della protezione dei professionisti dei media in tutto il mondo.
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