Richiedenti asilo in Comune: "Dateci la residenza"
Gli ospiti del Ceis chiedono libertà: "Siamo persone o merce di scambio?"
VITTORIO VENETO - "Ci trattano come merce di scambio, siamo un affare vantaggioso, in cui alcuni si arricchiscono a discapito dei senza potere, degli sfortunati, dei senza voce e dei poveri". L'hanno capito anche i profughi ospitati al Ceis di Vittorio Veneto che qualcuno, sulla loro sofferenza, ci fa la cresta. E sono stufi di rimanere lì, senza futuro, "parcheggiati" nello stesso posto a cui un anno fa sono stati assegnati con la promessa che, quella, sarebbe stata una "sistemazione temporanea".
11 mesi, di temporaneo, non hanno nulla. Le stanze da letto abitate da 20 persone di provenienza, cultura e religione diversa sono diventare il loro spazio di vita. La mensa "scadente" la loro fonte si sostentamento. I vestiti che noi abbiamo eliminato il loro guardaroba. I muri del centro di accoglienza i limiti della loro libertà.
Mamadou e Abdoulie
Certo, ci sono grati, ma ora? Quanto può continuare questa situazione di stasi?
Non può più continuare: è già durata abbastanza. Per questo si sono ritrovati in piazza questa mattina, i richiedenti asilo: per far sentire la loro voce e chiedere la residenza nella città che da quasi un anno li ospita. A prendere la parola a nome di tutti Mamadou Balde e Abdulie Jeng (foto in alto). Che parlano inglese, francese, ma anche un po' l'italiano.
Mamadou ha 33 anni, viene dalla Guinea, paese dove ha lasciato tre fratelli e la madre. E' in Italia da un anno e 4 mesi e dopo essere sopravvissuto al "viaggio della speranza" si trova qui, senza futuro. Senza la possibilità di averlo.
Ma tu, cosa vorresti fare? "Qualsiasi cosa. Vorrei poter lavorare, mantenermi, avere una vita". Qui? "Qui o altrove, ma Vittorio Veneto mi piace". E qual è il problema? "Il problema è che ad ogni richiesta che facciamo al campo ci sentiamo rispondere: "è temporaneo". Ma a me sembra sia diventato permanente".
Alcuni ragazzi stanno aspettando da un anno la convocazione della Commissione d'esame. "Ci sentiamo completamente dimenticati e ignorati, senza nessuna prospettiva. Noi abbiamo progetti e ambizioni; se non fosse così sarebbe stato meglio morire nei nostri paesi piuttosto che venire qui".
Moammed e Herve
Parole forti quelle dei giovani africani - hanno dai 18 ai 35 anni - che oggi si sono recati all'ufficio anagrafe per chiedere quello che è un loro diritto e un loro dovere: la residenza. "Siamo qui per chiedere al comune di Vittorio Veneto ciò che noi crediamo sia un nostro diritto e un suo obbligo come Comune: la concessione della residenza, in quanto sua responsabilità verso noi che abitiamo nel territorio della sua giurisdizione".
Con queste motivazioni, i ragazzi sono andati all'anagrafe, si sono fatti consegnare la dichiarazione di residenza e giovedì prossimo, quando gli uffici comunali avranno sbrigato le dovute pratiche e risolto le questioni a cui oggi non sapevano dare risposta, torneranno a consegnarla compilata.
La residenza, sarebbe già un passo avanti. Ma non un arrivo. "I nostri compagni - riferiscono i richiedenti asilo - fortunati ad aver ottenuto dalla Commissione un esito positivo alla richiesta di asilo hanno ricevuto un ultimatum di cinque giorni per lasciare il centro. Senza l'aiuto di alcune persone di buon cuore sarebbe finiti a dormire per strada, senza un tetto e senza cibo".
Hanno capito meglio di noi, i richiedenti asilo, come il sistema non solo non funziona, ma è fermo. Immobile. Statico e pericoloso. "Siamo richiedenti asilo, non prigionieri da confinare in un posto come merce in un negozio. In un luogo dove nessuno dei vostri cittadini vorrebbe stare, eccetto in casi estremi, si suppone. Perché allora, perché? Non siamo forse esseri umani normali come voi? Perché siamo tenuti in quarantena?"
Appunto, perché?
All'una, i ragazzi si allontanano dalla piazza. In mano hanno tanti fogli, ma nessuna risposta.