SONO A CASA I CONEGLIANESI RAPITI IN VENEZUELA
Accolti con affetto dagli amministratori e dai cittadini
Conegliano – Walter Iannotto e Roberto Armellin sono a casa. I due imprenditori coneglianesi, rapiti lo scorso ottobre dalla loro casa di Caracas, hanno finalmente fatto ritorno nella loro città. Accolti da parenti ed amici, hanno raccontato l’incubo durato 82 giorni.
Walter Iannotto, 80 anni e il genero Roberto Armellin, 48 anni, non si aspettavano un’accoglienza così calorosa, lo hanno ripetuto più volte ai cronisti e ai parenti “Durante la prigionia – spiega Armellin -, e poi quando sono stato liberato non immaginavo che così tante persone si fossero preoccupate per me. Ne sono felice perché significa che in molti ci vogliono bene”. Ad attenderli all’atterraggio del loro volo da Caracas, all’aeroporto di Venezia, un vero e proprio comitato di benvenuto composto da parenti ed amici che per l'occasione hanno noleggiato un pullman.
Ad abbracciarli per primi Vilma la moglie del capostipite e poi Paolo, Valentina e Tommaso i tre figli di Roberto. La delegazione è quindi partita, scortata dalla polizia municipale alla volta di Conegliano. L’arrivo in municipio poco dopo le 15.30, dove ad attendere i due imprenditori coneglianesi c’erano decine di giornalisti, rappresentanti del consiglio comunale e delle forze dell’ordine e molti conoscenti. Come promesso il sindaco ha organizzato una cerimonia di benvenuto a cui Walter e Roberto hanno partecipato volentieri.
Il primo a prendere la parola è stato Iannotto che ha raccontato la loro vicenda dall’inizio da quella sera del 22 ottobre quando un commando di banditi li ha rapiti. “Eravamo stati a cena da mio nipote, alle 23 siamo tornati a casa e appena entrati siamo stati immobilizzati da uomini a volto coperto che, minacciandoci con una pistola, ci hanno intimato di seguirli. Dopo averci bendato, ci hanno portato nel bosco”. Ha avuto inizio così la prigionia per i due imprenditori coneglianesi, un sequestro che per Walter si sarebbe concluso dopo 5 giorni ed è lo stesso imprenditore a svelare che i rapitori hanno lasciato a loro la scelta su chi dei due dovesse essere liberato: “Ci hanno detto di scegliere o me o lui. Mio genero ha pensato che doveva restare lui viste le mie condizioni di salute e la durezza della prigionia”.
Durante il racconto, la voce dell’anziano imprenditore ogni tanto si fa rauca e gli occhi si inumidiscono, a pesare di più, anche adesso che è tutto finito, è l’angoscia provata per il genero: “Avevamo costanti contatti con il Nucleo antisequestri della polizia venezuelana e con l’unità di crisi della Farnesina, mio nipote Michel e la mia coraggiosissima figlia Marlene (moglie di Roberto), hanno tenuto i contatti con i rapitori. Negli ultimi tempi sapevamo che si sarebbe arrivati presto ad una soluzione ma la paura che qualcosa potesse andare storto è stata tanta”.
Ad essere sereno e tranquillo, quasi, freddo, stretto in un cappotto che oggi gli sta largo e mostra a tutti quanto è dimagrito, è invece Roberto Armellin che racconta delle difficoltà della prigionia e del tempo che non passava mai: “La mia prigione era in un campo di circa 200 mq, nel fitto della selva, in un bosco con alberi alti 40-50 metri. Dormivo su un’amaca, come riparo avevo un telo di plastica. Di notte faceva molto freddo e non avevo coperte, ho dovuto arrangiarmi con alcune lenzuola, sacchetti per la spazzatura e giornali”. I rapitori, sempre le stesse 4 persone costantemente armate di fucili e pistole e a volto coperto, lo hanno trattato bene: “Mi davano da mangiare riso, carne e pesce salato. Tre giorni ho potuto mangiare la pasta, che ho cucinato io. Ho perso qualche chilo ma poteva andare peggio. La cosa difficile era far passare il tempo, c’erano 12 ore per stare svegli e dodici ore di buio totale in cui riuscivo a dormire massimo 3 o 4 ore”.
A chi gli chiede se ha avuto paura risponde sicuro: “No, ho sempre saputo che sarei tornato a casa. L’unica paura che avevo era per le condizioni in cui vivevo, in quel bosco vivono giaguari, serpenti e insetti vari”. Roberto Armellin è stato nelle mani dei sequestratori per 82 giorni, 77 dei quali da solo: “Durante tutto il tempo – spiega -, a darmi forza era il pensiero che era meglio fossi rimasto io invece di mio suocero”. Walter e Roberto raccontano, rispondono alle domande dei giornalisti e degli amici venuti ad accogliergli, rispondono a tutti ma non a chi gli chiede se è stato pagato un riscatto: “E’ stato – spiega Iannotto -, un rapimento a scopo estorsivo e con una richiesta di riscatto, ma non dirò quanti soldi volevano.
Noi abbiamo sempre risposto che ci avevano sequestrato i beni e non potevamo pagare. Era un modo anche per tergiversare, per allungare i tempi e consentire alla polizia di arrivare ad individuare i rapitori e a raggiungere il covo dove tenevano Roberto”. E a chi gli chiede se tornerà in Venezuela, Armellin risponde così: "Non lo so, vedremo. Lasciamo passare un po' di tempo".
Dopo le interviste, le strette di mano e il brindisi con il sindaco, Roberto e Walter sono risaliti sul pullman e sono andati via, verso Monticella dove ad attenderli c’era la festa privata, quella con la famiglia. Via verso la loro vita ritrovata!
Milvana Citter
Foto di "Foto Da Ros & Pollesel" Conegliano
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