SPORTSYSTEM, MENO AZIENDE CON PIÙ ADDETTI
Inversione di tendenza: crescono le scarpe da città a scapito di quelle sportive
Montebelluna – Con il Rapporto Osem 2008 (Osservatorio Socio Economico Montelliano) si sono snocciolati i dati sul distretto dello Sportsystem di Montebelluna, raccolti nella 24esima pubblicazione realizzata dal Museo dello Scarpone sostenuta da Veneto Banca.
Sul fronte occupazione: meno aziende, più grandi e con più addetti.
“I dati relativi al 2008 indicano stabilità, se non addirittura un lieve incremento – comunicano da Veneto Banca -. Il distretto ha perso 26 aziende (per un totale di 106 addetti) e ne ha guadagnate 7 (per un totale di 96 addetti). Complessivamente il saldo occupazionale è negativo per il numero delle aziende (da 409 a 390 unità, pari a un calo del 4,65%), ma positivo per il numero degli addetti (da 7.583 a 7.629 unità, pari a una crescita dello 0,61%).
A prima vista siamo semplicemente di fronte a un processo di concentrazione aziendale: meno aziende con un numero medio di addetti più elevato (questo passa infatti da 18,54 nel 2007 a 19,56 nel 2008). Rispetto all’anno precedente, nel 2008 il 73,33% delle aziende non ha riscontrato variazioni occupazionali; il 14,62% ha diminuito i propri organici e il 14,62% ha addirittura assunto nuovo personale”.
Meglio non delocalizzare: dopo la fuga del passato, ora si preferisce rimanere a casa.
“Se è vero che non si è verificato nessun disimpegno di massa, è anche vero che la percentuale di aziende che non delocalizza è cresciuta dal 18,81% del 2006 al 25,74% del 2008, segno che qualcuno – fatti i conti dopo l’entusiasmo iniziale – ha deciso di rivedere le proprie scelte strategiche. La meta privilegiata resta sempre la Romania (61,90%), anche se più di qualcuno si sta spostando verso l’Ucraina (11,90%) che offre un costo del lavoro maggiormente competitivo (circa il 40% in meno) e delle maestranze meno “problematiche”.
Se il costo del lavoro si riduce ulteriormente in Asia, è anche vero che delocalizzare in Cina o in Vietnam comporta problemi e oneri di tipo logistico e organizzativo non indifferenti. Questo scoraggia più di qualcuno, soprattutto le aziende meno strutturate oppure quelle che lavorano con tempi di reazione alle richieste di mercato molto veloci. Per chi delocalizza in Asia (c’è da dire che se viene sfruttata come punto d’appoggio per esportare direttamente in Usa o in Giappone la posizione geografica diventa da problema un vantaggio competitivo), la Cina rimane la prima scelta (33,33%), anche se qualcuno ha ritenuto più vantaggioso spostarsi in Vietnam (11,90%) o in Indonesia (9,52%)”.
Le prospettive di produzione e fatturato non sono incoraggianti: oltre la metà degli imprenditori del settore calzaturiero si aspetta una diminuzione.
“La variazione rispetto al 2007 ha infatti visto una tendenza alla stabilità per il 17,31% del campione, mentre c’è stato un aumento per il 40,38% e una diminuzione per il 42,31%. Dati non certo brillanti (non dimentichiamo che i comparti invernali sono in sofferenza da più di qualche anno), ma non certo drammatici.
Ma la vera crisi si vede dalle previsioni per l’anno in corso: il 27,14% si augura una situazione di stabilità, il 55,28% si aspetta una diminuzione e solo il 17,59% spera in un aumento. E si tratta di percentuali addirittura più ottimistiche di quelle a livello provinciale: secondo l’indagine congiunturale Unioncamere del Veneto sull’industria manifatturiera trevigiana, a dicembre 2008 il 24% degli imprenditori prevedeva per il 2009 un fatturato stabile contro il 69% che si aspettava una diminuzione e il 7% che azzardava un aumento.
Il fatturato complessivo 2008 del distretto dello sportsystem è pari a poco più di 2 miliardi e 127 milioni di euro di cui il 44% è rappresentato dalle scarpe da città, il 20% dall’abbigliamento, il 15% dalle calzature tecniche (scarpe da calcio, scarpe da ciclismo, stivali da moto, pattini inline, scarpe da tennis, scarpe da running e scarpe di sicurezza), il 10% dall’invernale (doposci, pattini da ghiaccio, scarponi da sci, scarponi da telemark e scarpe da snowboard), il 9% dalle scarpe da montagna e il 2% da altre calzature e attrezzatura sportiva. Le paia sono in totale poco più di 45 milioni e 287mila, di cui il 61% è rappresentato dalle scarpe da città, il 19% dalle calzature tecniche, il 10% dall’invernale e ancora il 10% dalle scarpe da montagna”.
Il fenomeno Geox, che rappresenta il 42% del fatturato del distretto, merita un discorso a parte: meno calzature sportive e più scarpe da città.
“Anche qui va considerato il peso del “fattore Geox”, sia sui numeri complessivi che sulla ripartizione percentuale dei comparti: il giro d’affari dell’azienda della scarpa che respira genera da sola il 42% del fatturato del distretto e l’85% del fatturato delle scarpe da città. Quindi prima di affermare che Montebelluna è diventata un centro di produzione di calzature comfort da capitale dello sportsystem che era, bisogna chiarire che questo è vero se si guarda alle quantità complessivamente prodotte e al valore da esse generato, ma non rispecchia un radicale cambiamento della vocazione produttiva delle aziende in generale.
È vero che i comparti invernali si sono decisamente ridimensionati (da 63,96% del fatturato totale e 61,83% della produzione totale nel 1987 a 9,48% e 8,51% nel 2008) e che più di qualche grande marchio dello scarpone da sci si è sganciato dal territorio, ma è anche vero che ancora oggi quasi il 22% delle aziende produce doposci, pattini da ghiaccio, scarponi da sci, scarponi da telemark o scarpe da snowboard.
È vero che la scarpa da città rappresenta il 45,21% del fatturato e il 60,37% della produzione contro il 12,84% e il 20,14% del 1985, ma è anche vero che – “effetto Geox” a parte – la percentuale di produttori rispetto al totale è addirittura calata (da 14,67% a 12,29%): non è dunque che l’intero distretto si sia lanciato a far concorrenza alle zone calzaturiere di Verona o Strà.
È vero che, nella produzione, la quota rappresentata dalle calzature tecniche si è ridimensionata rispetto agli anni Novanta (45% nel 1990 contro 20,87% nel 2008) ma è anche vero che la percentuale di aziende che operano nel comparto è rimasta sostanzialmente stabile (da 25,73% a 23,46%). Infine è vero che i comparti tradizionali sono crollati, se guardiamo al fatturato (da 43,97% nel 1989 a 15,85% nel 2008), ma è anche vero che coinvolgono ancora quasi un quarto delle aziende del distretto”.