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19 aprile 2024

Italia

Stato-mafia, l'ira di Napolitano

"Insinuati sospetti su di me"

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Stato-mafia, l'ira di Napolitano

SCANDICCI (Firenze) - "Una decisione obbligata". Così il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (in foto) ha definito l'atto con cui a fine luglio ha sollevando il conflitto di attribuzione con la Procura di Palermo davanti alla Corte Costituzionale. La decisione di ricorrere alla Consulta, ha precisato Napolitano durante l'intervento all'inaugurazione dei corsi della Scuola superiore della magistratura a Scandicci (Firenze), è stata ispirata da "trasparenza e coerenza".

"Come purtroppo ricordiamo, si è tentato da qualche parte di mescolare tale iniziativa, di assoluta correttezza istituzionale - ha sottolineato il capo dello Stato - con il travagliato percorso delle indagini giudiziarie sulle ipotesi di trattativa Stato-mafia negli anni '90, insinuando nel modo più gratuito il sospetto di interferenze -smentite da tutti gli interessati- da parte della presidenza della Repubblica".

"Quel tentativo, condotto attraverso i canali di un'informazione sensazionalistica e di qualche marginale settore politico, è durato poco -ha aggiunto il Capo dello Stato- ma ne è stata pesantemente investita una persona, il magistrato di straordinaria linearità e probità, Loris D'Ambrosio". Napolitano ha quindi ricordato che è proprio dedicato alla sua memoria la pubblicazione 'Sulla Giustizia', che raccoglie i discorsi del Capo dello Stato, insieme all'inedito scambio epistolare tra Napolitano e D'Ambrosio avvenuto a giugno scorso subito dopo le notizie di stampa sulle conversazioni telefoniche intercettate nell'ambito dell'indagine della Procura della Repubblica di Palermo sulla presenta trattativa Stato-mafia.

IL CARTEGGIO D'AMBROSIO-NAPOLITANO. Il consigliere giuridico del Quirinale Loris D'Ambrosio scriveva a Napolitano il 18 giugno scorso, lo stesso giorno in cui diversi giornali pubblicavano i testi delle conversazioni telefoniche intercettate tra il Quirinale e il senatore Mancino, nell'ambito dell'inchiesta di Palermo. "Come il procuratore di Palermo ha già dichiarato e come sanno anche tutte le autorità giudiziarie a qualsiasi titolo coinvolte nella gestione e nel coordinamento dei procedimenti sulle stragi di mafia del 1992 e 1993 - scriveva D'Ambrosio -, non ho mai esercitato pressioni o ingerenze che anche minimamente potessero tendere a favorire il senatore Mancino o qualsiasi altri rappresentante dello Stato comunque implicato nei processi di Palermo, Caltanissetta e Firenze".

Il giorno dopo il capo dello Stato rispondeva con una lettera al consigliere del Colle scomparso il 26 luglio scorso: "Caro dottor d'Ambrosio, l'affetto e la stima che le ho dimostrato in questi anni, sempre accresciutisi sulla base dell'esperienza del rapporto con lei, restano intangibili, neppure sfiorati dai tentativi di colpire lei per colpire me. Ce ne saranno ancora, è probabile: li fronteggeremo insieme come abbiamo fatto negli ultimi giorni. E la sua vicinanza e collaborazione resterà per me preziosa fino alla conclusione del mio mandato. Preziosa per sapienza, lealtà e generosità".

"Ciò non significa che io non comprenda il suo stato d'animo e la sua indignazione (dire amarezza è poco). Le sue condotte, così come le ha ricostruite nella sua lettera -scriveva tra l'altro il Presidente della Repubblica- sono state, e non solo in questi 6 anni, ineccepibili; e assolutamente obiettiva e puntuale è la sua denuncia dei comportamenti perversi e calunniosi -funzionali a un esercizio distorto del proprio ruolo- di quanti, magistrati, giornalisti e politici, non esitano a prendere per bersaglio anche lei e me".

"Non posso, però, che invitarla -scriveva ancora il Presidente della Repubblica a D'Ambrosio- a uno sforzo di rasserenamento e di ferma, distaccata predisposizione a reagire agli sviluppi della situazione. Traendo conforto anche dall'apprezzamento e dal rispetto che nutrono per lei tutti i galantuomini che operano nel mondo della giustizia o hanno comunque avuto modo di conoscerla e seguirla. Lo sforzo a cui la invito -concludeva Napolitano- non è facile; e lo so perché non solo a esemplari servitori dello Stato, ma anche a politici impegnati in attività di partito e nelle istituzioni, possono toccare amarezze e trattamenti tali da ferire nel profondo. Lo potrà rilevare leggendo qua e là la mia autobiografia politica, che le invio -pur avendone lei forse già copia- come segno di amicizia e fiducia".
 

(Adnkronos)

 



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