La stazione ferroviaria di Volpago va all’asta e l’associazione Xenìa ricorda quanto fatto nel tentativo di acquisirla per la comunità
Un addio? Forse, quello dell’associazione che si è mobilitata per raccogliere fondi per l’edificio storico
VOLPAGO DEL MONTELLO – La stazione ferroviaria di Volpago del Montello, lungo la linea in disuso della Tradotta, sarà messa in vendita con una base d’asta di 160mila euro. Le Ferrovie, intendono quindi “monetizzare” questa proprietà per la quale tanti cittadini si sono spesi, fondando anche l’associazione Xenìa, per raccogliere fondi al fine di acquisirla e farne un luogo pubblico di aggregazione. Mettendo questo immobile sul mercato pare quanto mai improbabile che le risorse raccolte dal gruppo di volontari possano essere sufficienti a comperarla ma la speranza non si è ancora spenta e molti in paese tengono le dita incrociate. Vale quindi la pena ricordare cos’è Xenìa e quanto ha fatto, per dare un futuro a vocazione sociale e culturale a questo luogo carico di storia. Una dei tanti volontari dell’associazione ripercorre quindi le tappe del gruppo e ricorda fatiche e sogni riposti in questo sforzo collettivo.
«Correva al primavera del 2021 quando ci incontrammo la prima volta, mantenendo le debite distanze, un po’ per l’appena trascorso Covid, un po’ perché ancora non ci conoscevamo. Una idea era venuta a molti di noi: trovare un punto di incontro e di condivisione, dove mescolare persone diverse, saperi diversi, metterli in comune e vedere cosa ne usciva. Lo spazio ideale dove assemblare tutte le fantasie e le possibilità che ci balenavano in testa era la vecchia stazione ferroviaria di Volpago: nata come un crocevia di persone, poteva diventare un luogo fisico dove organizzare mostre, corsi di artigianato, una piccola biblioteca, un ostello per viaggiatori… un luogo aperto a tutti, di incontri e poesia. L’idea si metteva a fuoco un po’ alla volta e con essa la ricerca di mezzi per comunicare il nostro progetto, per essere conosciuti dalla comunità, per raccogliere fondi per poterla realizzare. Abbiamo partecipato a infinite riunioni settimanali, con la palpebra che calava, chiedendoci come realizzare il nostro scopo».
La narrazione prosegue citando le iniziative svolte: «… Abbiamo fatto passeggiate storiche e botaniche lungo la Tradotta, abbiamo cucinato cene di raccolta fondi, abbiamo fatto i parcheggiatori al festival Pamali, abbiamo someggiato scatoloni e scatoloni di libri per il nostro banchetto di libri, cooptato amici innocenti nei ruoli più disparati, dall’addetto al traffico al banditore d’asta, dal musicista all’uomo (e alla donna!) di fatica, abbiamo organizzato due edizioni di Mestierando, una giornata dedicata agli artigiani, che mostravano quello che facevano, come lo facevano e a quale scopo. Abbiamo sentito molto interesse per le nostre iniziative ma soprattutto per una idea di comunità, di fare le cose assieme, di gente che lascia perdere il divano e si incontra in un luogo accogliente anche solo per scambiare due chiacchiere, imparare qualcosa, insegnare qualcosa, lasciar scorrazzare liberi i bambini. Siamo stati certo idealisti, magari velleitari, sicuramente naif».
Quindi le conclusioni agrodolci che non possono lasciare indifferenti, come tutte le cose fatte per una comunità con impegno e dedizione, animati dalla volontà di unire le persone, per un arricchimento reciproco: «Adesso la stazione è stata posta in vendita; noi quella cifra non ce l’abbiamo. La stazione verrà presumibilmente venduta, e diventerà uno spazio tutto diverso da quello che abbiamo sognato. La dura realtà impone i suoi pedaggi: i sogni sono sogni, il denaro è denaro. A noi rimane una inevitabile amarezza, oltre all’esperienza fatta. Anche se il progetto della stazione non si è realizzato, qualcosa ci dice. Ci dice che è stato faticoso, assai faticoso, fare le cose assieme; ci dice che è stato molto molto bello fare le cose assieme. Ci dice anche, e questo volevamo dirlo a tutti: c’è bisogno di fare le cose assieme, mettere assieme le persone. C’è un bisogno grande, e insoddisfatto, di comunità, di condivisione, di spazi non commerciali, di spazi dove poter anche improvvisare. Questo bisogno noi l’abbiamo sentito forte, e nella nostra maniera di sognatori, di velleitari, di naif lo volevamo ricordare. Nella speranza che questo non sia un addio, ma solo un arrivederci». L’auspicio non può che essere che i volontari di Xenìa non si disperdano e perseguano ancora il loro sogno di una comunità coesa e attiva.
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