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21 novembre 2024

Castelfranco

La battaglia contro i pregiudizi di un agricoltore castellano che coltiva canapa, per dare un futuro migliore all’azienda di famiglia

Il progetto portato avanti da Elia Barban, supportato da Coldiretti e Università di Padova, per lo sviluppo di farine di canapa ad uso zootecnico

| Leonardo Sernagiotto |

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| Leonardo Sernagiotto |

La battaglia contro i pregiudizi di un agricoltore castellano che coltiva canapa, per dare un futuro migliore all’azienda di famiglia

CASTELFRANCO - “Produrre canapa nella filiera alimentare e agroindustriale” è la denominazione di un progetto, finanziato dal Programma per lo sviluppo rurale della Regione Veneto e guidata dalla Coldiretti Rovigo, che ha messo in rete le imprese agricole interessate a coltivare la canapa con partner specializzati nel campo scientifico della ricerca varietale, della valorizzazione alimentare e trasformazione in campo zootecnico. L’obiettivo è la ricostruzione di una filiera produttiva della canapa, affrontando le problematiche delle lavorazioni agromeccaniche e della trasformazione alimentare e agro-industriale delle diverse parti della pianta, per consentire di migliorare la produttività e competitività aziendale.

Se tra i partner scientifici spicca il dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione dell’Università di Padova, le aziende agricole che hanno aderito al progetto sono tre: due polesane (Christian Rigolin di Fiesso Umbertiano e Diego Boccato di Ceregnano) e una trevigiana, Elia Barban di Castelfranco Veneto. Abbiamo incontrato Elia Barban, giovane imprenditore agricolo (classe 1987), presso la sua azienda agricola a sud di Castelfranco, lambita dalle acque del torrente Muson.

Salve Elia, quand’è che hai deciso di coltivare la canapa?

Sono diventato imprenditore agricolo dal 2017, il primo anno della legge 242 che permetteva la coltivazione della canapa (cannabis sativa) in Italia per la filiera agroindustriale, con un limite di tetraidrocannabinolo fissato allo 0,2%. La passione per la canapa proviene da vari settori: ad esempio, nel 2006, quando ero impiegato commerciale presso una fornace, ho conosciuto la canapa nell’ambito della bio-edilizia (realizzazione di mattoni, di pannelli, etc). Nel 2014, lavorando in una ditta che produceva farine, ho avuto la possibilità di vedere la farina di canapa, toccarla, sentirne il profumo e apprezzarne i valori nutrizionali. Dopo un viaggio in Australia nel 2013, ho deciso di prendermi cura dell’azienda di famiglia, sebbene questo abbia comportato non avere più orari, ferie o week-end liberi. Da imprenditore agricolo, ho cercato di apprendere nuove pratiche che possono portare al benessere dell’animale e al miglioramento della carne. Da qui è nato il mio studio sulla canapa.

Come mai, cos’ha la canapa di particolare?

La canapa è un’importante fonte di omega (3 e 6), che attualmente, nel mondo zootecnico, deriva dal lino, prodotto per lo più importato dall’estero. Essendo l’autosufficiente un obiettivo aziendale, sia mio padre che io abbiamo sempre avuto un occhio di riguardo per le coltivazioni particolari: soia (quando ancora non era diffusa), girasole, colza. Quando abbiamo puntato alla canapa, abbiamo però sempre trovato un muro.

Come mai questo muro? Per l’associazione della canapa alla droga?

C’è quello ma sostanzialmente si tratta di un discorso di ignoranza in tutti i settori in cui la canapa può essere utilizzata. In quest’area la canapa è stata coltivata per secoli (testimoniata già in epoca della Serenissima), in quanto zona paludosa e quindi ben adatta alla sua coltura. Il primo anno che ho piantato la canapa, molti anziani si fermavano e riconoscevano piante della loro gioventù, quando la canapa era un supporto al reddito contadino. La novità è che ora – dagli inizi del Duemila – abbiamo scoperto il suo valore nutrizionale. Purtroppo, nel corso del Dopoguerra, mentre il mondo si è portato avanti con la ricerca e l’innovazione dal punto di vista meccanico di trasformazione e lavorazione, l’Italia ne ha bandito la coltivazione. È ripartita grazie all’associazione piemontese Assocanapa, senza tuttavia trovare mai quello sbocco di filiera importante, perché non c’è mai stata una visione a 360° della canapa, spesso limitata al solo settore tessile.



Quanto redditizia è la coltivazione della canapa?

Riguardo la coltivazione ad uso alimentare, o si hanno i mezzi in proprio per la lavorazione, altrimenti non c’è in Italia una filiera che permetta un ritorno congruo. Riguardo il mercato della canapa da fumare, che non è normalizzato, non ha un regolamento ed è basato su una dicitura “ad uso tecnico” (che vuol dire tutto e niente), i guadagni possono essere veramente importanti: in Italia, un’infiorescenza può essere venduta a 10-12 € al grammo. Questo mercato, se in un primo momento aveva tolto molto alla criminalità organizzata, successivamente la sta facendo guadagnare, in quanto la mafia si è attrezzata per effettuare furti direttamente nei campi e a rivendere la canapa nel mercato nero.

Veniamo al progetto “Produrre canapa nella filiera alimentare e agroindustriale”. Come sei stato coinvolto?

Spingendo in sede Coldiretti per la coltivazione della canapa, dopo il mio primo raccolto del 2017 Antonio Maggiotto, responsabile di zona Asolo-Castelfranco di Coldiretti, mi ha fornito i contatti della professoressa Lucia Bailoni dell’Università di Padova e dopo un’e-mail di presentazione dell'idea del progetto mi ha dato appuntamento. Il progetto attuale è una parte della mia idea di filiera che ho dovuto rivedere in molti aspetti e che poi è stato presentato a nome di Coldiretti Rovigo per questioni politiche interne a Coldiretti Veneto.

Abbiamo fatto il primo ciclo di sperimentazione in allevamento, iniziato nel novembre 2019. Ora stiamo aspettando le analisi dell’Università di Padova. In questo ciclo dovevamo individuare qual era la somministrazione minima per dare un segno di tracciabilità di omega 3 e omega 6 sulla carne. Questo perché non è mai stato provato al mondo la somministrazione di canapa ai vitelli “a carne bianca”. Lo scopo è quindi capire quale può essere l’incidenza della percentuale di farina di canapa sul resto del pasto, per non creare squilibri che possono portare ad alterare il colore della carne dei vitelli. La stalla sperimentale è stata suddivisa in tre parti: una di controllo (senza farina di canapa), le altre due con percentuali differenti di farina di canapa. Sono state installate anche delle telecamere per monitorare il comportamento degli animali prima e dopo la somministrazione di canapa.

Qual è il tuo obiettivo?

Vorrei arrivare all’autosufficienza, completando il ciclo produttivo: dalla coltivazione della canapa, all’alimentazione animale, alla commercializzazione del prodotto finito. Purtroppo c’è tanta burocrazia: essendo una cosa nuova, deve essere tutto normalizzato. Ad esempio l’olio di canapa per alimentazione umana, che fino all’anno scorso poteva essere visto come un prodotto interessante su cui puntare per uno sviluppo economico, ora non è più possibile a causa di una nuova normativa che preclude questa produzione. Subiamo di nuovo un’ignoranza politica: la causa è soprattutto il collegamento con l’idea di droga, ma anche il fastidio che arreca al mondo dei prodotti derivati dal petrolio (es. le plastiche).

 


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