BUONA DOMENICA La scuola che non insegna il rispetto per le persone e per le idee
Tre liceali di Milano messi alla porta dal professore di Filosofia perché vestiti da donna per solidarietà contro il femminicidio
TREVISO - Si sono presentati in classe indossando abiti muliebri. La prima ora di lezione non era ancora iniziata. Quando però il professore di Storia e Filosofia è entrato in aula i tre studenti vestiti da donna sono stati immediatamente messi alla porta. E’ successo il 25 novembre scorso, data scelta vent’anni fa dalle Nazioni Unite per celebrare la “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”. Contro ogni violenza, fisica e psicologica. Contro ogni discriminazione sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale.
Scarpe e panchine rosse assurte a simboli della Giornata: le prime per far memoria delle vittime di femminicidio; le seconde, collocate in molti Comuni d’Italia, con sovraimpresso i nomi di quelle donne che avrebbero potuto continuare a sedersi. Avrebbero potuto continuare a vivere. Da un po’ di tempo a questa parte associazioni, commissioni per le pari opportunità, scuole raccontano esperienze e manifestano espressioni originali di condivisione e vicinanza alle donne maltrattate, abusate, stalkerate, discriminate. Per non dire di quelle che hanno pagato con la vita.
Quando sono uomini che ad altri uomini dicono che Basta violenza sulle donne! che tutti ci si deve alleare per impedire a mariti e compagni violenti di continuare a perpetrare aggressioni e omicidi, è il segnale di un buon viatico. I tre liceali di Milano entrati in classe vestiti da donna giovedì della settimana scorsa, hanno avuto coraggio, e questo è sicuro. Più ancora il loro gesto ha restituito quella dignità che in certi modi di fare e in cert’altri modi di dire tra uomini un po’ si fatica talvolta a rinvenire.
Ha perso l’occasione – una opportunità importante – di fare una lezione di civiltà il docente che invece li ha messi alla porta. “Un insegnante è anche un educatore e un educatore deve sapere dire dei no. Quello era il momento di passare il messaggio che a scuola ci sono dei limiti. La scuola è un luogo speciale e un bene comune e merita rispetto” – si è giustificato intervistato dal “Il Giornale” il prof. Martino Mora, l’insegnante di Filosofia del liceo “Bottoni” di Milano. “Il voglio difendere la scuola di De Sanctis, Croce, Gentile e Gramsci. Io, che sono di idee diverse, sono costretto a difendere l’impianto della scuola gramsciana rispetto a questa deriva verso la quale la scuola di Lady Gaga, verso questo grande Carnevale in cui ci si traveste, si fa quello che si vuole. Io sono contro perché ritengo che la scuola sia, come la Chiesa e la famiglia, una delle poche istituzioni di senso rimaste”.
Lasciando i Croce e i Gramsci alle prese verosimilmente con il triplo salto carpiato nella tomba, la domanda alla quale il professor Mora dovrebbe tentare di dare una risposta è: cos’altro è sempre stata e continua a essere la scuola se non il luogo nel quale si conosce e ci si confronta con le differenze, imparando a rispettarle per intraprendere percorsi di inclusività e maturare nella socialità? Una buona scuola è foriera di una comunità non violenta, rispettosa, in una parola: civile.
“La scuola merita rispetto”. E’ vero prof. Mora. Ma prima ancora il rispetto essa lo insegna: per le persone (in primis più deboli, maltrattate e offese) e per le idee. Per questo nelle sue classi, professore, ha perso una grande occasione: quella di fare il suo mestiere.
Buona domenica