14 ottobre 2024
Categoria: Scienze e tecnologie - Tags: disinformazione scientifica, divulgazione medica on-line, oftalmologia, AGCM, AIFA, angiogenesi, Antitrust, Avastin, bevacizumab, farmaci, farmacie, fovea, Lucentis, maculopatia, medicina, Novartis, occhio, retina, Roche, VEGF, Big Pharma, complotti
Scarpis Enrico | commenti |
di Edoardo Romano*
L’articolo è stato pubblicato il 28 Dicembre 2014 su Italia Unita per la Scienza.
Trovate l'articolo anche su Bussola Medica!
In questi ultimi mesi si è fatto un gran parlare sui media di due colossi farmaceutici, portando all’attenzione del grande pubblico uno scandalo che mina la credibilità dei due protagonisti: Novartis e Roche. I TG denunciano un accordo fra le due società allo scopo di favorire la vendita di un farmaco costoso a discapito di uno molto più economico. Cerchiamo di fare un po’ di luce in questa oscura vicenda.
Questa truffa sfrutta una grave malattia dell’occhio, la maculopatia[1], un termine generico per indicare le malattie che interessano la macula. Questa è la parte centrale della retina, un dischetto dal diametro di 6 mm. Al suo centro si trova la fovea, la regione della retina con la più elevata densità di coni, i fotorecettori deputati alla visione centrale ad “alta risoluzione” e alla percezione dei colori.
Anatomia dell'occhio umano: schema.
Una delle cause della maculopatia è la rottura dello strato epiteliale che divide la retina dalla rete di vasi sanguigni sottostante (coroide). Attraverso queste crepe i vasi sanguigni della coroide raggiungono la macula, crescendo in maniera incontrollata (neovascolarizzazione coroidale, CNV). L’emorragia che ne segue danneggerà i fotorecettori causando deformazione e distorsione della visione centrale.
Nella degenerazione maculare essudativa o umida, si formano, al di sotto della macula indebolita, alcuni vasi sanguigni anomali che possono lasciar facilmente fuoriuscire del liquido essudativo (plasma) che danneggia le cellule fotosensibili della macula.
Per la cura ci vengono in aiuto le conoscenze accumulate in un campo in cui abbiamo molta più esperienza: quello oncologico.
Ora, la domanda sorge spontanea: cos’ha in comune un tumore con una malattia che provoca problemi alla vista? La risposta è l’angiogenesi, ovvero il processo che porta alla formazione di vasi sanguigni. Nel cancro l’angiogenesi è un processo fondamentale per la sua sopravvivenza: senza i nutrimenti trasportati dai vasi sanguigni creati ad hoc, le cellule tumorali, come quelle di qualsiasi altro tessuto, avvizziscono e muoiono. Una delle strategie utilizzate dalla chemioterapia è infatti quella di bloccare la crescita di nuovi vasi per “affamare” il tumore.
Ritornando alla maculopatia umida, abbiamo visto che il danno è causato dalla crescita incontrollata di capillari nella zona dove si trovano i fotorecettori. L’idea è quindi di utilizzare un farmaco antiangiogenico per impedire la neovascolarizzazione coroidale. Nel 2004 entra in gioco Avastin (bevacizumab), un anticorpo monoclonale di proprietà della Roche, utilizzato per il trattamento del cancro al colon-retto, del carcinoma alla mammella e ai polmoni. Questa molecola va ad inibire la proteina VEGF, acronimo di Vascular Endothelial Growth factor, che come dice il nome stimola la formazione di nuovi vasi.
Pensateci, usare un antitumorale per curare la vista! Chi ha avuto questa intuizione è Napoleone Ferrara, catanese d’origine, scopritore del ruolo del VEGF nei tumori[2] e vincitore del prestigioso Lasker Award, una sorta di premio Nobel americano.
Il nostro connazionale ha migliorato la vita a molte persone, scoprendo come fanno i tumori ad alimentarsi e trasferendo, in seguito, queste conoscenze alle malattie della retina: Avastin, sviluppato dal suo gruppo di ricerca, funziona molto bene anche nel migliorare la vista[3][4].
Un farmaco come questo, che viene prescritto anche per un uso diverso da quello per cui è stato creato, viene definito off label. E’ una situazione molto comune: un quinto dei farmaci in commercio hanno un loro utilizzo off label[5]. Questo tipo di prescrizione è, comunque, ben regolamentato[6][7][8][9][10].
Questo vuol dire che, nel bugiardino di Avastin, non viene menzionato l’uso per il trattamento della maculopatia.
E qui cominciano i problemi: Roche decide stranamente di non chiedere l’estensione dell’utilizzo nel campo oftalmico. Due anni dopo, nel 2006, la Novartis mette in commercio Lucentis (ranibizumab), un anticorpo monoclonale derivato da Avastin, sviluppato anch’esso dal nostro Napoleone. Questo è specifico per il trattamento della degenerazione maculare umida e dovrebbe penetrare meglio, grazie alle sue dimensioni minori, nella retina. Ottimo, no? Un nuovo farmaco, forse migliore, progettato apposta per la maculopatia (prescrivere off label è un po’ una scocciatura, in quanto comporta problemi etici e maggiori responsabilità da parte dei medici che li prescrivono).
Ma la cruda realtà non tarda a farsi sentire. Non solo Lucentis è molto più costoso (una dose di Avastin ha un prezzo tra i 15 e gli 80 euro, mentre Lucentis viaggia intorno ai 900) ma quintali di studi provano che l’efficacia del farmaco è equivalente al precedente[11][12][13][14].
A questo punto è lecito domandarsi: “ok, ma chi me lo fa fare di assumere Lucentis? Se posso scegliere continuo utilizzare Avastin, che funziona e costa poco!” Giustissimo. Il fattaccio avviene nel 2012, quando l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) esclude Avastin dalla legge 648/96, che comprende tutti i farmaci off label da utilizzare quando non vi è alternativa terapeutica valida; ed è proprio Lucentis l’ ”alternativa valida”. Secondo l’AIFA, la decisione è stata presa a causa della concomitante presenza di Lucentis, specificamente studiato e registrato per l’uso intravitreale, e per i maggiori effetti collaterali di Avastin. Eppure nel 2012 erano già stati pubblicati tre lavori scientifici indipendenti che provavano l’equivalenza di efficacia e sicurezza fra i due farmaci[15][16]. L’unico rischio effettivo nell’utilizzo di Avastin riguarda il rischio di contaminazione del medicinale e conseguente infezione oculare: l’utilizzo off label comporta infatti il frazionamento del flacone, la cui dose è specifica per il suo utilizzo come antitumorale (per risolvere questo problema basterebbe creare confezioni monouso).
Con un prezzo 50 volte maggiore del suo predecessore, il nostro servizio sanitario si rende conto di non riuscire a farsi carico delle spese di Lucentis, che supererebbero i 600 milioni di euro all’anno (in Italia ci sono 385 mila casi di maculopatia umida). La soluzione più semplice è far pagare l’intero trattamento al cittadino. La magra consolazione è che possiamo vantare i prezzi più bassi d’europa.[17]
In questa vicenda la nostra agenzia del farmaco si è trovata con le mani legate, risultando impotente davanti alle pressioni di Roche nello scoraggiare l’uso del farmaco off label e non potendo tantomeno cambiare la modalità di prescrizione di Avastin. Hanno avuto il loro peso anche i timori di azioni legali nel caso di effetti collaterali: per un off-label, infatti, le conseguenze di eventuali danni al paziente sono a carico di medici e agenzie del farmaco.
A ciò si aggiunge la considerazione generale che spesso non esistono solide evidenze scientifiche per l’uso off label di un farmaco (anche se in questo caso ci sono, eccome!).
Curiosità: per queste vicende Avastin è diventata la prima “not me drug” al mondo[18], ovvero un farmaco che, pur essendo adatto per il trattamento di una patologia, non può essere prescritto. Si contrappone alle “me too drug”, farmaci chimicamente simili e con lo stesso meccanismo d’azione prodotti da diverse case farmaceutiche.
Ma torniamo al caso: dopo queste vicende arriva un’indagine dell’Antitrust. Cosa scopre? Che Roche e Novartis hanno concertato sin dal 2011 una differenziazione artificiosa dei farmaci Avastin e Lucentis presentando il primo come più pericoloso del secondo per l’utilizzo oftalmico. Di conseguenza Roche, con la commercializzazione di Lucentis (che è della Novartis), incassa royalites per l’utilizzo del loro principio attivo. E non solo: Novartis partecipa per il 33% al capitale della Roche, e quindi ne condivide gli utili.
Il 27 febbraio 2014, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva ritenuto che le due società avessero posto in essere una intesa anticoncorrenziale volta a ottenere una “differenziazione artificiosa” dei farmaci Avastin e Lucentis, “manipolando la percezione dei rischi dell’uso in ambito oftalmico di Avastin”. In particolare, la differenziazione dei due prodotti sarebbe avvenuta “enfatizzando i profili di sicurezza relativi all’uso intravitreale di Avastin (off-label) attraverso la produzione e diffusione di informazioni miranti a condizionare le scelte dei medici cui competono le decisioni terapeutiche e la scelta dei relativi farmaci”.
Secondo l’AGCM, quindi, “in presenza di due farmaci equivalenti sotto ogni profilo in ambito oftalmico, le due imprese hanno artificiosamente differenziato i prodotti, svalutando le contrarie acquisizioni scientifiche, al fine di promuovere il prodotto più costoso (Lucentis), dalle cui vendite derivano profitti per entrambe le società, e impedire, o comunque limitare, l’utilizzo di quello meno costoso (Avastin)”. In tal modo, l’intesa avrebbe consentito “la massimizzazione dei profitti di tutte le imprese, in ragione dei complessi rapporti commerciali intercorrenti tra i gruppi Roche e Novartis“. Di lì la comminazione di sanzioni ai due gruppi farmaceutici, per circa 90 milioni di euro l’uno (una multa irrisoria, visti i profitti dei due colossi).
Le due case farmaceutiche hanno comunque presentato ricorso alla sanzione, ricorso che è stato rigettato dal TAR del Lazio il 2 dicembre scorso.
La posizione delle Big Pharma sembra indifendibile, ma mi piace fare l’avvocato del diavolo e proviamo a sentire l’altra campana. In questo video (ci sono belle animazioni, guardatelo!) un ricercatore parla della maggior tossicità di Avastin citando uno studio pubblicato nel Canadian Journal of Ophtalmology. Questo evidenzia non solo una probabilità 12 volte maggiore di sviluppare infiammazioni oculari rispetto a Lucentis, ma anche una minore efficacia (causando addirittura diminuzione della vista) rispetto al competitore. E’ un dato forte, una prova schiacciante, ma analizziamo brevemente il lavoro: innanizitutto esistono, oltre a quelli che ho citato prima, moltissimi studi che affermano l’equivalenza, sia come efficacia che come effetti collaterali, dei due farmaci. Facendo un parallelismo, è come se 9 medici diagnosticassero ad un paziente una certa malattia e uno solo dissentisse: a chi sareste portati a credere? Ovviamente al giudizio unanime dei 9 medici. Potrebbe venirci qualche dubbio se il medico controcorrente fosse un grande luminare: allo stesso modo se l’articolo in questione appartenesse ad una rivista prestigiosa saremmo più portati a ritrattare la nostra tesi; nelle riviste scientifiche si usa esprimere l’autorevolezza di una rivista con l’Impact Factor (IF), un punteggio dato dal numero di citazioni ricevute (e altri fattori come la presenza di una peer review). Ad esempio, se una rivista nel 2014 ha un IF di 3 vuol dire che gli articoli pubblicati nei due anni precedenti sono stati citati 3 volte. Pur essendo un’indicatore piuttosto impreciso, vediamo che Il Canadian Journal of Ophtalmology ha un IF di 1,1. Una buona rivista è attorno a 5, e le più importanti (come Cell, Nature e Science) viaggiano sui 30-40.
Ricapitolando, abbiamo una ricerca che va contro la maggioranza pubblicata da una rivista non particolarmente affidabile. Lo studio effettuato, inoltre, è retroprospettico; questo comporta che le persone coinvolte nel trial clinico non sono state seguite dai ricercatori: questi si sono limitati a raccogliere i dati dall’ospedale e ad analizzarli. Questa tecnica, pur essendo rapida da eseguire (il tempo necessario all’accadimento degli eventi è già trascorso) non è particolarmente precisa, visto che le caratteristiche dei soggetti, i dati raccolti e gli esiti misurati sono definiti prima dello svolgimento dello studio. Nel paper inoltre non sono riuscito a trovare le dosi dei due farmaci iniettati: mi auguro quindi che siano quelle utilizzate di routine e non siano state cambiate ad arte per evidenziarne gli effetti collaterali, ad esempio.
Ah, quasi dimenticavo: lo studio è stato finanziato dalla Novartis.
Vediamo un secondo caso, di poco tempo fa: in questo articolo[19] Roche giudica incompleta la ricerca effettuata dalla Cochrane Collaboration[20] (una prestigiosa iniziativa no profit che analizza e valuta lavori scientifici), rispondendo con un’analisi presentata ad un congresso sull’angiogenesi oculare di Miami che evidenzia una maggiore sicurezza da parte di Lucentis.
Il bello di citare dati presentati ai congressi è che possono non essere definitivi e non devono necessariamente essere stati pubblicati da qualche parte: la ricerca in questione infatti non si trova neanche su Internet. In compenso, googlando l’autore del fantomatico studio, un certo Usha Chakravarthy, ho trovato una sua ricerca[21] in cui equipara Avastin e Lucentis sia sul piano dell’efficacia che della sicurezza. Mah!
Che cosa possiamo trovare di positivo da questa brutta vicenda? Beh, sembra che si stiano prendendo provvedimenti per evitare nuovi casi Novartis-Roche. Saranno presto in vigore le nuove norme previste dal decreto del ministro appena pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale[22]. Il decreto prevede che, in presenza di due farmaci che possono avere lo stesso uso, ma con indicazioni per malattie diverse, l’AIFA potrà verificare, attraverso una sperimentazione effettuata con i propri fondi, la possibilita’ di utilizzare il farmaco off label. In questo caso l’azienda che ne detiene il brevetto potrà autorizzare l’AIFA a sperimentare, avviare in proprio il trial, oppure opporsi del tutto. In quest’ultimo caso, l’AIFA avrà la facoltà di pubblicizzare il diniego sul proprio sito. In caso di esito positivo della sperimentazione, il farmaco verrà autorizzato a carico del Ssn.
La storia comunque non si chiude qui: il ministero della Salute lo scorso 29 maggio aveva chiesto a Roche e Novartis un maxi risarcimento da un miliardo e 200 milioni di euro per i danni – patrimoniali (circa 45 milioni nel 2012, 540 milioni nel 2013 e 615 milioni nel 2014) e non – subiti dal Servizio sanitario nazionale a seguito dei comportamenti anti-concorrenziali delle case farmaceutiche. La richiesta di risarcimento è aggiuntiva alla muta confermata dal Tar del Lazio.
Bisognerà attendere aprile 2015, invece, per la decisione della Sezione Terza Quater relativa alla delibera dell’Aifa che aveva riammesso l’uso off label dell’Avastin a carico del Servizio sanitario nazionale, pur in maniera giudicata troppo restrittiva dagli oftalmologi che infatti hanno fatto ricorso al Tar.
Prof. Silvio Garattini, foto dell'Istituto Mario Negri di Milano
Dopo aver parlato tanto male dei farmacologi cattivi, spezziamo una lancia a loro favore: Silvio Garattini, il direttore del Mario Negri, aveva denunciato[23] (già nel 2010) il caso Avastin-Lucentis chiedendo, senza essere ascoltato, maggiore autonomia all’AIFA. In questo caso, infatti, l’agenzia del farmaco non aveva potuto cambiare le indicazioni dei farmaci rispetto alla volontà delle industrie, che, soprattutto in Italia, possono gestire i loro prodotti a loro piacimento.
* Il dott. Edoardo Romano si occupa di biologia molecolare all’Università degli Studi di Milano, in particolare dello studio a livello molecolare ed elettrofisiologico di canali ionici sintetici controllati dalla luce.
L’articolo è stato pubblicato il 28 Dicembre 2014 su Italia Unita per la Scienza.
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Photo Credit:
immagine di copertina: <a href=”https://www.flickr.com/photos/didier-lg/159420661/”>Didier-Lg</a> via <a href=”http://photopin.com”>photopin</a> <a href=”http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.0/”>cc</a>
Tutte le altre immagini derivano dall’articolo apparso su Italia Unita per la Scienza e sono senza finalità di lucro.
Referenze
[2] Ferrara N, Hillan KJ, Gerber HP, Novotny W. (2004) Discovery and development of bevacizumab, an anti-VEGF antibody for treating cancer. Nat Rev Drug Discov.http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15136787
[3] El-Mollayess GM, Mahfoud Z, Schakal AR, Salti HI, Jaafar D, Bashshur ZF (2013) Intravitreal bevacizumab in the management of neovascular age-related macular degeneration: effect of baseline visual acuity. Retina http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23615342
[4] Li X, Hu Y, Sun X, Zhang J, Zhang M; Neovascular Age-Related Macular Degeneration Treatment Trial Using Bevacizumab (NATTB) (2012) Bevacizumab for neovascular age-related macular degeneration in China. Ophthalmology http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22818896
[5] http://archinte.jamanetwork.com/article.aspx?articleid=410250
[6] Legge 648/1996 http://www.parlamento.it/parlam/leggi/96648l.htm
[7] Legge 94/98 http://www.camera.it/parlam/leggi/98094l.htm
[8] Decreto Ministeriale del 18 maggio 2001:http://www.handylex.org/stato/d180501.shtml
[9] Decreto Ministeriale dell’8 maggio 2003: http://www.agenziafarmaco.gov.it/sites/default/files/Decreto_Ministeriale_8_maggio_2003.pdf
[10] Finanziaria 2007: lettera Z http://www.cimoasmd.it/documenti/approfondimenti/425.pdf
[11] Chakravarthy U, Harding SP, Rogers CA, Downes SM, Lotery AJ, Culliford LA, Reeves BC (2013) Alternative treatments to inhibit VEGF in age-related choroidal neovascularisation: 2-year findings of the IVAN randomised controlled trial. Lancethttp://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23870813
[12] Abedi F, Wickremasinghe S, Islam AF, Inglis KM, Guymer RH (2014) ANTI-VEGF TREATMENT IN NEOVASCULAR AGE-RELATED MACULAR DEGENERATION: A Treat-and-Extend Protocol Over 2 Years. Retina http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24637667
[13] Kodjikian L, Souied EH, Mimoun G, Mauget-Faÿsse M, Behar-Cohen F, Decullier E, Huot L, Aulagner G; GEFAL Study Group. (2013) Ranibizumab versus Bevacizumab for Neovascular Age-related Macular Degeneration: Results from the GEFAL Noninferiority Randomized Trial. Ophthalmology http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23916488
[14] Krebs I, Schmetterer L, Boltz A, Told R, Vécsei-Marlovits V, Egger S, Schönherr U, Haas A, Ansari-Shahrezaei S, Binder S; MANTA Research Group. (2013) A randomised double-masked trial comparing the visual outcome after treatment with ranibizumab or bevacizumab in patients with neovascular age-related macular degeneration. Br J Ophthalmol.http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23292928
[15] http://www.nei.nih.gov/catt/
[16] http://cteu.bris.ac.uk/trials/ivan/
[17] http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/content/aifa-precisazioni-regolatorie-su-avastin-e-lucentis
[18] Campbell RJ, Dhalla IA, Gill SS, Bell CM. (2012) Implications of “not me” drugs for health systems: lessons from age related macular degeneration. BMJhttp://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/22549055
[19] http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=21326
[20] Braithwaite T, Nanji AA, Lindsley K, Greenberg PB (2014) Anti-vascular endothelial growth factor for macular oedema secondary to central retinal vein occlusion http://summaries.cochrane.org/CD007325/anti-vascular-endothelial-growth-factor-for-macular-oedema-secondary-to-central-retinal-vein-occlusion
[21] Chakravarthy U, Harding SP, Rogers CA, Downes SM, Lotery AJ, Culliford LA, Reeves BC; IVAN study investigators. (2013) Alternative treatments to inhibit VEGF in age-related choroidal neovascularisation: 2-year findings of the IVAN randomised controlled trial. Lancethttp://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23870813
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