Fanni Guidolin si dimette dall'Ulss "per la profonda ferita morale inflittale dalla vicenda"
Il chiarimento formale non l'Ulss con è bastato a riportare il sereno e la dottoressa Guidolin ha deciso di abbandonare l'azienda
CASTELFRANCO - Il polverone sollevato con la divulgazione della lettera dell’Ulss che chiedeva lumi sui video nella pagina Instagram della dottoressa Fanni Guidolin, ha lasciato conseguenze irreparabili. Da qui le dimissioni come Enterostomista Specialista nella Riabilitazione del Pavimento Pelvico e Team Leader Enterostomisti Ulss2 Marca Trevigiana. La pressione emotiva a cui si è sentita sottoposta la dottoressa, per i post divulgativi sulla sessualità, non ha compensato il fatto che con l’Ulss si sia arrivati ad un’intesa chiarificatrice che le ha dato ragione su tutto il fronte.
Una scelta comprensibile ma di cui certo si rammaricheranno i tanti pazienti che negli anni hanno avuto modo di beneficiare delle competenze professionali di Fanni Guidolin, figura molto apprezzata nell’ambito sanitario anche per la sua grande empatia ed umanità con i malati. Va rammentato che la dottoressa oltre alle sue competenze sulla Enterostomia è anche Consulente Sessuale, Docente presso l’Università di Padova, l’Università Bicocca di Milano e l’Università di Ferrara oltre ad essere stata nominata Ambasciatrice Italiana Board of Ostomy in Europa.
"Si comunica che nonostante l’esito positivo della nota vicenda dei video su Instagram ed il supporto ricevuto da migliaia di persone, la sottoscritta dott.ssa Fanni Guidolin ha rassegnato ieri le sue dimissioni dal rapporto di lavoro con l’Ulss 2 Marca Trevigiana, con decorrenza dal 16 gennaio prossimo nel rispetto del preavviso contrattuale, per la profonda ferita morale inflittale dalla vicenda": si legge nel comunicato con cui la dottoressa Fanni Guidolin siega le ragioni della sua decisione. La comunicazione quindi prosegue entrando nel dettaglio:
«La diffida ricevuta affermava che dai video apparsi su Instagram avrei rilasciato “dichiarazioni dal chiaro contenuto sessuale e, quindi, altamente lesive dell’immagine aziendale”. Affermazione poi smentita dal successivo approfondimento dei fatti.
In essa, inoltre, si rimetteva all’Ufficio Procedimenti Disciplinari la valutazione in ordine alla violazione della normativa, e invitandomi “per il futuro dall’assumere comportamenti e/o rilasciare dichiarazioni sui social network o a favore di qualsivoglia organo di informazione, in difformità dalla procedura in materia”.
Non so per quale via, ma la conoscenza di tale diffida è giunta agli organi di stampa e si è scatenato un clamore mediatico che mi ha profondamente segnato, anche nella salute.
Sono stata colpita da frasi attribuite dai giornalisti al direttore generale in alcune interviste nello stesso momento in cui a me si era intimato di non rilasciare alcuna dichiarazione agli organi di stampa, indicazione che ho rispettato per spirito di servizio.
Frasi “incancellabili”, che hanno segnato profondamente la mia moralità e riportate dai giornalisti in virgolettato al direttore generale quali:
“i video sono un po’ spinti”, “come dipendente sanitaria serve anche un certo decoro”, “…senza bisogno di fare le pose”; od anche “non mi pare una cosa corretta che una operatrice sanitaria né psicologa né sessuologa…” (cit. il Gazzettino)
“la signora non è né una psicologa né una psicoterapeuta”, “deve fare l’infermiera” ,“è solo un richiamo per riaggiustare ciò che sta facendo dal punto di vista visivo” (in una intervista rilasciata dal direttore generale all’emittente Antenna Tre).
“un conto è far corsi per spiegare a parole, un conto sono i video in cui vengono mimate pose di pratiche sessuali. Su whatsapp (errore concettuale non è whatsapp di cui parliamo ma Instagram) ci vanno i ragazzi giovani, a volte anche i bambini. Fare un corso di sessuologia è altro rispetto a questo. Si fa un po’ fatica a concepire una cosa di questo tipo” (riportato in virgolettato dal Corriere del Veneto)
“ci sarà anche qualche coppia felice che segue i suoi video” (Cit . frase che l’articolista del Corriere del Veneto dice essere stata pronunciata con ironia dal Direttore Generale).
“Il punto è la Policy aziendale. Per pubblicare una cosa così avrebbe dovuto chiederci il permesso” anche questa violazione smentita dagli accertamenti.
Da qui sono poi stata argomento di varie trasmissioni televisive, con termini talvolta non proprio lusinghieri.
Il fatto che su una materia tanto delicata si sia consentito che l’informazione trapelasse alla stampa nonchè le imprudenti dichiarazioni del direttore generale mi hanno costretto a lasciare un’azienda che so di aver servito con dedizione e spirito di servizio come mi era stato ripetutamente attestato anche dallo stesso direttore generale “definendomi lustro e fiore all’occhiello proprio della sua stessa azienda” fino al giorno della diffida».
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