14 novembre 2024
Categoria: Altro - Tags: giornalismo, informazione, bullismo, cyberbullismo, sessismo, digitale, web, online, internet
Silvia Albrizio | commenti |
Tempo fa, proprio da questo mio spazio, scrissi un articolo dedicato al giornalismo contemporaneo, che spesso preferisce la velocità all’accuratezza dell’informazione. Il risultato non porta solo errori grossolani come una poco attenta lettura delle fonti, o refusi: ma può provocare altresì qualcosa di molto più grave e inquietante.
Il Fatto Quotidiano aveva confezionato un articolo semi goliardico sulla vicenda della ragazza suicida dopo la diffusione e l'odioso sbeffeggio di un suo video privato.
Oggi, Peter Gomez ha rimosso l'articolo sostituendolo con un apprezzabile mea culpa.
Credo che la stampa abbia una grave correlazione di responsabilità nella vicenda. Perché gli articoli pruriginosi e acchiappaclic sono ovunque e sono fatti apposta perché la gente li legga, li commenti, ci perda tempo sopra in modi più o meno beceri. Tutti prima o poi ci siamo incappati, ritrovandoci a vedere filmati stupidi o deprecabili, chi per il gusto del trash, chi per quello della polemica.
Mantellini nel suo blog oggi parla di istituire un'educazione al digitale, nelle scuole, in famiglia. Io suggerirei anche ai giornalisti, ai capiredattori e alle redazioni dei quotidiani online e non, di farsi un grande esame di coscienza, un ripassino alle regole della deontologia, di sporcarsi con un rigurgito di etica, evidentemente digerita ed espulsa da tempo. Non si può scrivere un articolo volutamente provocatorio con nomi e cognomi dei protagonisti senza accertarsi perfettamente della veridicità dei fatti presentati, solo perché non c'è tempo di farlo. Il rischio è quello di alimentare il massacro collettivo in quella giungla senza controllo che spesso è il web e i social network. Laddove, sia chiaro, nessuno critica il mezzo, perché non si scordi che dietro le parole che circolano online, di qualunque tipo esse siano, ci sono le persone, cioè noi. Questo, nonostante alla stampa piaccia molto compattare l’internet come un’entità separata dal resto del reale, circoscrivendola anche linguisticamente (“il web ha detto”, “il web ha fatto”).
Non è il web e non sono i media in generale a essere sbagliati: sono semmai la totale mancanza di empatia e di rispetto degli esseri umani a rappresentare il problema e la bieca sicumera nel sentirsi superiori agli altri, migliori, intaccabili da qualunque debolezza. A ciò si aggiunge, a proposito della notizia della ragazza tragicamente scomparsa, l’ipocrisia di fondo che aleggia attorno a certi comportamenti sessuali, soprattutto femminili, e a una certa mentalità molto italiana e schifosamente sessista e retrograda, che vuole la donna circoscritta a precisi standard sociali e guai a mostrarsi volutamente e coscientemente disinibita, o semplicemente ingenua nel maneggiare la propria intimità.
C'è tuttavia qualcosa che non funziona come dovrebbe nel mondo della comunicazione contemporanea. E ai fruitori di senno tocca destreggiarsi a fatica in una melma vomitevole e puzzolente, per non rimanerne invischiati.
Silvia Albrizio
Ha studiato cinema e televisione e ne scrive sulla carta e online. Readymade è il risultato pronto all’uso delle sue riflessioni su questi ed altri media
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