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28 novembre 2024

Treviso

Michele Uliana, il clarinettista di Ponzano Veneto, si racconta

Il conservatorio, il jazz e la passione per la musica dal vivo

| Leonardo Beraldo |

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| Leonardo Beraldo |

Michele Uliana

PONZANO – “ Ho cominciato a suonare il clarinetto a undici anni. Mi sono iscritto all’Associazione Musicale Francesco Manzato di Treviso – dice Michele Uliana, classe 1989- e negli anni ho mantenuto una certa costanza grazie principalmente alle persone, nel senso che l’atmosfera, quando si organizzavano i concerti domenicali, era fantastica, quasi irrinunciabile. Si era creato un gruppo, come fossimo una squadra ben affiatata sia durante l’esecuzione musicale sia fuori. Ho continuato con le lezioni fino alla quinta superiore, quando ho deciso di provare ad entrare in conservatorio”. Michele ha sostenuto e superato un esame di ammissione al quinto anno. “Ho ottenuto il diploma nel 2011, al settimo anno, quello conclusivo. Mi ha seguito il maestro Roberto Scalabrin, con lui ho studiato musica classica e ho imparato ad affinare la tecnica e il suono".

Il jazz è arrivato subito dopo. “In termini di studio, mi ci sono dedicato una volta finito il conservatorio, con il clarinettista e compositore Nico Gori. Mi sono approcciato all’improvvisazione. Alle sue regole, i binari su cui far viaggiare le possibili direzioni della melodia”. La passione è cresciuta con l’ascolto attento di artisti come Benny Goodman, Charlie Parker, Louis Armstrong, Buddy DeFranco e Tony Scott. E proprio nel 2017 Michele vince il premio che porta il nome di quest’ultimo, il Tony Scott Jazz Clarinet Award, a Salemi in provincia di Trapani.

Gli impegni di Michele si moltiplicano. Suona con l’orchestra dello storico Gran Caffè Quadri, in Piazza San Marco, due volte a settimana; insegna clarinetto al Liceo Musicale “G. Marconi” di Conegliano e alle scuole medie di Follina; vince un altro premio nel 2018, il “C. Bettinardi” per la sezione del pubblico, e dal 2020 collabora con Yamaha come consulente. Colleziona presenze al Treviso Suona Jazz Festival e ha da poco pubblicato l’album “Pazienza” prodotto da Alman Music . Questa settimana il suo clarinetto è andato in scena al Caffè Caffi di Treviso.

Ma quali sono i momenti difficili di una carriera così particolare? “Il primo periodo di pandemia, quando erano stati bloccati gli spettacoli dal vivo, è stato duro. Certo, ho potuto concentrarmi sull’album, ma il bello di suonare il clarinetto, di suonare in un gruppo jazz, è il momento del concerto. Il rapporto che si instaura tra le persone, che siano esse colleghi con i quali confrontarmi sul linguaggio musicale, o il pubblico. Mi ricordo ancora uno spettatore in lacrime dopo un’esecuzione al Caffè Quadri. Voglio dire, a quel punto si è creata una relazione tra lo spettatore e il mio strumento. Quello strumento che ormai, prendendolo in mano tutti i giorni, fa parte di me come un nuovo arto. Se si crea una relazione, si producono delle emozioni di cui sono responsabile”. E, se garantisce ancora certe emozioni, il jazz è vivo; viaggia imperterrito sui binari della storia indaffarata e improvvisata dei suoi musicisti.

 


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