La "Renga" quaresimale

Caratteristiche, storia, tradizione e preparazione delle aringhe

| Giampiero Rorato |

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Giampiero Rorato | commenti |

TREVISO - L’aringa (Clupea harengus) è un pesce che vive in branchi molto numerosi nelle acque fredde dei mari settentrionali, Atlantico settentrionale e Mare del Nord e conobbe grande fama venendo commercializzata dalla Lega Anseatica (le navi delle città di Amburgo, Brema e Lubecca) specialmente tra il Medioevo e il XVI secolo.

La Lega Anseatica era infatti stata costituita nel XII secolo per monopolizzare il florido commercio delle aringhe che rappresentava un fondamentale prodotto alimentare per le popolazioni nordiche.

Le aringhe che conosciamo in Italia sono di due specie: la dorata, che è la più comune, e l’argentata. Va aggiunto che nel lontano Medioevo erano un cibo molto ricercato in particolare dalle popolazioni più povere della fascia settentrionale dell’Europa, entrando poi lentamente nella cucina internazionale, presente sul tavolo self service delle colazioni del mattino.

L’epoca e il motivo dell’arrivo in Italia delle aringhe non sono molto chiari. È comunque certo che soni arrivate a Venezia ben prima dello stoccafisso, il quale è stato visto e descritto dal capitano de mar veneziano in una relazione del 1433 e introdotto dai commercianti veneziani solo dopo il Concilio di Trento (1545-1563)., quindi a iniziare dagli ultimi tre decenni del ‘500.

L’aringa era invece già presente e utilizzata nella Repubblica di San Marco sicuramente dal secolo precedente, se non da prima, tanto è vero che gli abitanti della campagna ne facevano scorta per la Quaresima, come racconta i fatti successi l’ultima notte di Carnevale del 1499, quando dei gruppi di armati bosniaci a cavallo, avamposto dell’esercito turco, tentarono di avvicinarsi a Venezia.

In quella notte quei gruppi armati avevano programmato di oltrepassare il Lemene a Concordia Sagittaria, la Livenza a Motta e a Sacile e scendere dalle Alpi per la stretta di Serravalle (Vittorio Veneto).

Prima di ricordare come è nata la “festa della renga” va fatto un accenno a chi probabilmente l’ha introdotta nelle terre della Serenissima. Intanto è noto che nel 1385 il Consiglio dei Pregadi della Serenissima emise la prima "condotta" che permetteva a dei prestatori ebrei di origine tedesca (ebrei detti ashkenaziti), già presenti da tempo nelle isole e in terraferma, di operare in città (l'usura era vietata a Venezia sin dal Duecento).

Questo portò alla formazione di una prima colonia ebraica ashkenazita stabile, cui seguì, poco dopo, la concessione di un'area cimiteriale al Lido (il cimitero ebraico vecchio a San Nicolò del Lido).

Quegli ebrei arrivati dal Nord della Germania conoscevano benissimo le aringhe, le usavano normalmente come cibo ed è presumibile che arrivando ne abbiamo portato con sé, dando quindi avvio ad un commercio di aringhe tra Venezia e la Lega Anseatica.

Tornando ai tentativi dei Turchi di avvicinarsi a Venezia per conquistarla, la storia riporta che gli avamposti bosniaci prima ricordati furono fermati a Concordia, Motta e Serravalle, ma non a Sacile dove fecero una terribile carneficina.

A Concordia, Motta e Serravalle, la popolazione locale, probabilmente preavvertita dal “controspionaggio” della Serenissima, aveva posto delle sentinelle lungo il Lemene, la Livenza e alla stretta di Serravalle, e quelle sentinelle, che non avevano partecipato ai bagordi carnevaleschi, accortosi del tentativo di passaggio dei nemici, diedero l’allarme sventando il tentativo.

All’alba del primo giorno di Quaresima le popolazioni delle tre località si riunirono festanti nel luogo dove i nemici erano stati respinti: a Motta di Livenza, alla confluenza del Monticano nella Livenza (in località Albano); a Concordia nel piazzale della Cattedrale a pochi metri dal Lemene e a Serravalle nella piazza del Duomo, appena al di qua della stretta.

La festa fu celebrata dando fondo alle riserve di aringa conservate per la Quaresima e, da allora, dopo oltre mezzo millennio, si continua a ricordare la ricorrenza celebrando la “festa della renga”.

E adesso, lasciando da parte la leggenda della renga appesa con uno spago sopra la tavola delle famiglie povere, veniamo ai due nomi con cui questo pesce è conosciuto. Si tratta sempre di aringa, ma conserva questo nome, in dialetto locale “renga”, quando è affumicata e disseccata, dopo essere stata per qualche tempo in salamoia. Se invece l’aringa senza uova e senza latte viene conservata in barili sotto sale è chiama nelle terre della Serenissima “scopetòn” o “cospetòn”.

Alcuni modi per preparare la "renga"


Fino a circa la metà del secolo scorso, c’era chi la mondava con cura, levava la lisca, la ungeva di buon olio, quindi la avvolgeva in un cartoccio di carta oleata e la metteva a cuocere sotto la cenere calda del focolare.

Attualmente, seguendo una ricetta tipicamente ashkenazita, c’è chi monda l’aringa, ne ricava i filetti che vengono fatti bollire per 5 minuti in acqua e latte (il latte in Quaresima era vietato ai cristiani). Una volta tolta dal fuoco si lascia raffreddare, quindi si levano i filetti dal liquido di cottura e si insaporiscono in vari modi:

1 – si coprono i filetti di aringa con abbondanti anelli di cipolla, tagliati molto sottili, si irrora di buon olio d’oliva e si lascia marinare qualche ora. Al momento di mandare in tavola si aggiunge un goccio d’aceto e, possibilmente, una macinatina di pepe.

2 – come sopra, sostituendo la cipolla con un trito finissimo di aglio e cipolla.

I cuochi moderni hanno comunque trovato altri modi di prepararla e servirla sia il Mercoledì delle Ceneri (mercore grôt), che nei venerdì quaresimali.

 



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Giampiero Rorato

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