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28 marzo 2024

Montebelluna

La vita di Assmà, tra fede e calcio, diventa un film

Il regista Dimitri Feltrin racconta la storia di una giovane musulmana, nata e cresciuta in Italia, simbolo della sua generazione

| Leonardo Sernagiotto |

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| Leonardo Sernagiotto |

Assmà Haddadi

MONTEBELLUNA - Quando scende in campo per giocare a calcio, la ventenne Assmà è uguale a tutte le altre sue coetanee, tranne per un particolare, che genera ancora inquietudine e diffidenza in alcune (ancora troppe) persone. Assmà indossa infatti il velo islamico, che non toglie nemmeno durante le partite di calcio a cinque.

La scelta di Assmà Haddadi, nata e cresciuta in Italia da genitori marocchini, non le ha impedito di condurre una vita per nulla diversa da quella dei suoi coetanei di fede cristiana. Diplomatasi in Relazioni internazionali per il marketing presso l’Istituto “Einaudi” di Montebelluna e ora studentessa alla Sorbona di Parigi, Assmà, come molte sue coetanee, vuole infatti viaggiare, conoscere gli altri, confrontarsi con il mondo, impegnarsi nel sociale a livello internazionale, ma soprattutto diventare una «donna libera e che possa essere se stessa».

Grazie alla sua fusione tra tradizione e modernità, la testimonianza di Assmà è diventata un docufilm dal titolo “Assmà porta il velo, gioca a calcio”, girato dal regista trevigiano Dimitri Feltrin. Il cortometraggio, che sarà presentato domani sera, giovedì 29 aprile, alle ore 21.00 su Youtube, vuole quindi affrontare le sempre attuali tematiche delle discriminazioni etniche, religiose, di genere.

Il punto di vista è quello della stessa protagonista: tramite una telecamera tascabile, Assmà ha filmato e raccontato in prima persona la propria vita, con parenti, amici e compagne di squadra. Ne è scaturito una sorta di diario, al quale Assmà ha affidato le proprie riflessioni, le proprie aspirazioni e i propri sogni, rispondendo agli stimoli forniteli dal regista.

Ecco dunque che il film prende respiro: Assmà, nel raccontare il suo vivere quotidiano, incarna le ambizioni, ma anche le paure e le debolezze della seconda generazione di immigrati, che ha ricevuto in eredità dai propri genitori l’Italia come patria, e che italiana si sente a tutti gli effetti, pur senza rinnegare le radici etnico-religiose dalle quali è nata.

In questo racconto, lo sport diviene ancora una volta veicolo di integrazione e di abbattimento delle diversità, il mezzo per «rendere un individuo membro di una società». Per il suo valore sociale, il docufilm di Feltrin, promosso dall’Associazione Sport4Society, ha raccolto il sostegno economico e il patrocinio di molte istituzioni e realtà del terzo settore del territorio veneto, tra cui Amnesty International Italia, Banca Etica e Caritas Tarvisina.

 


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Leonardo Sernagiotto

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