Il calvario di una mamma che chiede diritti e rispetto per il figlio disabile
“Noi la disabilità non l'abbiamo scelta, ma ci ha colpito duramente e per tutta la vita".
| Tiziana Benincà |
REFRONTOLO - Se vi dovessero chiedere qual è la parola più in voga ai nostri giorni nella scuola, cosa rispondereste? Probabilmente “inclusione”. Una parola dal significato molto complesso, non semplice da gestire, né per le istituzioni né per i cittadini; gli unici che sono in grado di dire se si tratta di un concetto astratto o se viene tradotto in realtà, sono i genitori di bambini o ragazzi con fragilità.
A fronte di richieste e mancate risposte, sono diverse le mamme che lanciano appelli utilizzando i social, così anche per Deborah Lucchet di Refrontolo: “Quando scrivo su Facebook ottengo sempre delle risposte, altrimenti nulla. Ho scritto anche a Zaia, con dati alla mano, ma senza risultato”. Deborah è mamma di due ragazze e di un bimbo di 9 anni, che soffre della sindrome dell’x fragile, ovvero un ritardo neuropsicomotorio con disabilità intellettiva e ipotonia, cioè una riduzione del tono muscolare.
Una storia dove l’inclusione ha spesso avuto spesso i contorni del miraggio, fin dalla scuola materna quando Deborah si è accorta che: "Una maestra alzava le mani sul piccolo". La situazione non è migliorata alla primaria, dove ottenere un parcheggio disabili vicino all’ingresso non è stato facile ma – nonostante questo – la nonna del bimbo è stata insultata da alcuni genitori per aver parcheggiato lì. Deborah ha quindi deciso di dire la sua sui social: “Noi la disabilità non l'abbiamo scelta, ma ci ha colpito duramente e per tutta la vita. Se poi ci si mettono anche le persone ignoranti a sottolinearlo... Rinuncerei ogni minuto della vita al parcheggio, alle visite, alle terapie, alle anestesie totali per curare un dente, alle crisi notturne, alle crisi di giorno, ad avere un'assistente, un insegnante di sostegno, degli ausili, rinuncerei di sapere che mio figlio non sarà mai pienamente autonomo per il resto della sua vita, rinuncerei a sentire che non accettano mio figlio a uno sport, rinuncerei alla misera pensione che percepisce. Sapete come ci si sente quando tutti vengono invitati a un compleanno e tuo figlio No? Io lo so benissimo”
Già perché purtroppo molte volte non si riesce ad ottenere l’appoggio nemmeno dagli altri genitori, oltre a dover faticare per avere risposte dalle istituzioni. Deborah quindi prosegue: "A Pieve di Soligo (il figlio frequenta la primaria di Barbisano ndr) non hanno educatori da affiancare a bambini disabili, per praticare uno sport e quindi non li prendono. Ai grest non accettano i bambini disabili se non accompagnati, il che significa un costo per la famiglia di 1200 euro. L’anno scorso in tempo di covid lui è risultato positivo e nessuno della sua classe è rimasto a casa, perché veniva tenuto fuori al freddo in corridoio, con tutte le persone che andavano avanti e indietro. Mi sono arrabbiata tantissimo e quest’anno la situazione è decisamente migliorata”.
Per Deborah è un calvario: “Io scrivo su Facebook per tutti i bambini disabili, non solo per mio figlio, perché voglio che quello che ottiene lui lo abbiano anche gli altri. Se tutto funzionasse io farei l’80% in meno di fatica. A me non pesa la sua disabilità, perché io faccio le cose che fanno le altre mamme per arrivare a fare in modo che mio figlio sia felice, ma il lottare per ottenere ciò di cui ha diritto è estenuante. Inclusione significa mettere il bambino a fare le stesse cose degli altri e la cosa più difficile nell'essere mamma di un bambino disabile è che non gli vengano riconosciuti i diritti dei propri coetanei”.
FOTO: immagine di repertorio